La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 settembre 2010
di Raffaele Nigro «Se per i tedeschi continuavo a essere uno straniero; per gli altri stranieri un italiano; per gli italiani un meridionale o terrone; per i meridionali un calabrese; per i calabresi un albanese o ‘ghie gghiu’, come loro chiamano gli arbereshe; per gli arbereshe un germanese o un trentino; per i germanesi e i trentini uno sradicato. Io per me ero semplicemente io, una sintesi di tutte quelle definizioni, una persona che viveva in più culture e con più lingue, per nulla sradicato, anzi con più radici…». Così Carmine Abate combina e scombina le carte della propria identità culturale, scoprendo che si può vivere la vita non per sottrazione ma per accumulo o per addizione di esperienze, di conoscenze, di passioni, di emozioni. Non più il lamento per la terra perduta come nella più accreditata tradizione nostalgica della cultura di emigrazione ma col piacere dell’avventura e della novità. Calabrese di etnia albanese, Abate è nato a Carfizzi di Crotone nel 1954, ha compiuto studi umanistici a Bari prima di intraprendere la via dell’insegnamento all’estero. In questi giorno lo scrittore ha vinto il premio Palmi per la narrativa, un premio «giocato in casa» in realtà, per il suo ultimo volume di racconti Vivere per addizione e altri viaggi (Mondadori ed., pp. 158, euro 9). Il suo esordio è come poeta (Nel labirinto della vita) una passione che nutre anche nella maturità, se nel 1996 pubblica la raccolta Terre di andata. Ma la restante produzione è tutta costruita tra saggistica e narrativa. È stato docente di italiano in Germania per anni, prima di approdare in Trentino, ma ad Amburgo ha esordito come narratore nell’84 pubblicando la raccolta di racconti Den Koffer und weg! e a quattro mani con Meike Behrmann, nello stesso anno, il saggio Die Germanesi, una indagine sull’emigrazione dall’Italia, più tardi tradotta e pubblicata per Pellegrino e poi per Rubettino. Scrivere racconti per lui è una passione primaria e profonda: dopo la prima raccolta di novelle, Il muro dei muri, oggi ha dato alle stampe Vivere per addizioni e altri viaggi (Mondadori ed.). Racconti nei quali l’ironia si accompagna all’analisi etno-antropologica, il dialetto si sposa col vocabolario italiano e tedesco, mostrando una immagine di viaggiatore che costruisce lembi di autobiografia e che accumula sapori abitudini linguaggi, fino a convincere se stesso e poi i propri lettori che «noi siamo stranieri quasi dappertutto». Nel 1991 Abate sorprese la società letteraria italiana col romanzo Il ballo tondo (edito da Mondadori). Il protagonista,Costantino, figlio di un emigrato in Germania dalla nativa Hora, un paese della cintura arbereshe della Calabria, ricorda con nostalgia e incanto il mondo mitico dal quale suo padre si è allontanato per lavoro. Amore, rivisitazioni del proprio passato e della propria cultura esprimono gioie e dolori di un giovane che vive con passione ma senza disperazioni nostalgiche la bellezza della propria cultura. Nel vento delle migrazioni di massa dall’Albania verso l’Italia e l’Europa, con il romanzo del 1999 La moto di Scanderbeg, Abate raccontava il mito dei miti, quello di Giorgio Castriota, attraverso le vicende di suo padre, Giovanni Alessi detto Scanderbeg, che in gioventù, a cavallo di una moto (come il Che Guevara dei Diari della motocicletta), aveva condotto le lotte agrarie nel sud. Anche lì storie di inquietudini, spese tra due paesi, Calabria e Germania, amori negati ed esplosivi si intrecciavano tra loro e soprattutto riaffiorava il mito di una cultura millenaria dalla quale gli albanesi di og gi volevano fuggire. Abate guardava alle proprie spalle, andava in cerca del passato e lo trovava nella lotta tra Albanesi e Turchi e nelle tradizioni e nei costumi di un popolo fuggiti dalla madre patria. Lui vissuto in Germania cercava la cultura di una terra perduta. Nel pieno della fuga degli albanesi, la ricerca dell’Occidente da parte di un popolo che troppo tardi scopriva di essere stato prigioniero degli Ottomani e poi del Socialismo reale. I romanzi Tra due mari (Mondadori 2002), La festa del ritorno (Mondadori 2004), Il mosaico del tempo grande (Mondadori 2006) e Gli anni veloci (Mondadori 2008) narravano le inquietudini dei fuggiaschi. In Gli anni veloci, Abate che ha sempre usato le inflessioni dialettali senza fare uso neorealistico del dialetto, si spinge a mescolare i sapori della sua lingua con le parole e i versi delle canzoni di Rino Gaetano e di Lucio Battisti. Un amore nato a Crotone e diviso da quattordici lunghi anni di distanza, si chiude con lieto fine. Ma proprio mentre Battisti muore e con lui muoiono i sogni di tutta una gioventù. Tutto questo si ritrova sparso nei racconti di Vivere per addizione, l’inquietudine di chi emigrato avverte che forse è un arricchimento continuo questa condizione e la voglia di superamento della crisi e del complesso da provinciale o da deraciné, di chi vive ai margini di ogni civiltà e che non ha un mondo al quale legarsi.
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