Il Sole 24 ore,
13 novembre 2011
Come se non fossimo immigrati
di Roberto Carnero
L’ultimo libro di Carmine Abate, Terre di andata, è
una raccolta di poesie, ma forse, prima ancora, un diario di viaggio.
Perché in testi ibridi, spesso al confine tra prosa e versi, l’autore ci
riporta al vissuto di migrante, al proprio personale vissuto e a quello
di un’intera generazione. Nato nel 1954 a Carfizzi, un paesino di
origine albanese in provincia di Crotone, figlio di emigranti, Carmine
Abate è vissuto tra il paese natio, la Germania e il Trentino (dove
attualmente risiede).
In Germania ci arriva a sedici anni e da allora, fino a tutto il periodo
universitario, lavora ogni estate in fabbrica o nei cantieri stradali
con suo padre, che viveva ad Amburgo da quando lui era un bambino.
Laureatosi in Lettere, diventa insegnante di Italiano ai figli dei
nostri connazionali in diverse città tedesche.
L’autore ha vissuto in prima persona i problemi degli emigrati, dalle
difficoltà d’integrazione e di apprendimento di una lingua straniera al
razzismo. Poi, con il tempo, è stato in grado di cogliere anche gli
aspetti positivi di quell’esperienza: l’arricchimento culturale, il
vivere tra due mondi, il contatto tra le culture e il superamento dei
pregiudizi. Anche se non è mai venuto meno il motivo della nostalgia.
Motivo non a caso centrale in Terre di andata. Dove la tonalità
nostalgica ed elegiaca si incarna nella figura di un padre che sogna per
il figlio un futuro migliore. Prende le sembianze dei fichi d’India e
delle stelle della natìa Calabria. Diventa – “ora che al paese / tu sei
un germanese / con il conto in banca / con il mondo in tasca” – il sogno
di una vita diversa “come se noi non fossimo emigrati”. Una nostalgia
che si sofferma sui sogni giovanili che il tempo avrebbe infranto. Ma
c’è, a un certo punto, uno scatto d’orgoglio identitario e politico, che
porta a rivendicare la propria storia: “Oh sì, hanno tentato. Di
metterci la museruola come ai cani”. Ma non ci sono riusciti.
In una lingua intensa, un italiano vivo interrotto qua e là da termini
tedeschi, Abate racconta sogni, speranze, utopie, una vita intensa al
confine tra diversi mondi. E, ancora, sempre lei, la nostalgia del
migrante: “Aspettavamo l’estate / come impazienti cicale / con le ali
spezzate / e l’anima andata a male”.
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