Il Mattino,
3 luglio 2011
Terre di andata
di Guido Caserza
CARMINE ABATE è scrittore che ha fatto della
frontiera, oltre che la propria condizione esistenziale (italo albanese
di Carfizzi, in Calabria, emigrato da giovane ad Amburgo, vive
attualmente in provincia di Trento), anche la cifra peculiare della
propria narrativa, la specola stilistica attraverso cui guardare e
raccontare il mondo.
Ormai acclamato come autore di romanzi (il suo esordio, Il ballo tondo,
è di vent’anni fa), ha ora raccolto le sue poesie nel volume Terre di
andata (ed. Il Maestrale, pp. 154, euro 14). Nella produzione poetica di
Abate, sin qui spersa in piccole plaquette, si ritrovano sostanzialmente
i temi della sua narrativa (la delusione dell’intellettuale sradicato,
la ricerca di una dimora dell’anima, il motivo del viaggio) compendiati
in rapide folgorazioni, in versi talvolta composti da una sola parola
(come nella sezione Di more), o articolati in più ampi respiri e con
accenti prosastici, come nella poesia Il dilemma che chiude la sezione
Dimore di me. Abate sembra aver metabolizzato originalmente la lezione
di autori come Saba e Pavese, in sapida commistione con certe
suggestioni ungarettiane, tenendo in questo modo sempre viva la tensione
lirica del dettato: “proesie” definisce, pertinentemente, i suoi
componimenti, e infatti, anche laddove la sintassi sembra indugiare nel
parlato, le inarcature del verso («Mio padre dice che / torneremo l’anno
prossimo, diceva così anche / l’anno scorso») sospendono il ritmo, in
un’accentuazione lirica che dà nuova vita anche alle semplici
congiunzioni.
L’attraversamento simbolico delle frontiere geografiche e di quelle
dell’anima avviene così tutto in interiore, nello scavo di una parola
che non rinuncia mai al sogno di modificare la realtà..
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