La poesia e lo spirito, 17 giugno 2011
Un libro di poesie, anzi di poesie e “proesie”, Terre di andata (Il Maestrale, 2011, euro 14). Ho incontrato per la prima volta Carmine Abate al Salone di Torino; stavamo entrambi guardando i libri di uno stand. In precedenza ci eravamo solo sentiti per telefono. Una lunga chiacchierata e alla fine la passeggiata tra i libri è terminata allo stand di Radio Svizzera, dove una giornalista attendeva Carmine per un’intervista. Conoscevo di Carmine La moto di Scanderberg, tradotto tra l’altro in olandese e uscito per Serenalibri. Ma le sue poesie non le conoscevo. Il titolo è strepitoso, almeno per uno come me che vive ossessionato dal ritorno. La copertina ha assieme qualcosa di discendente e ascendente, tre soffioni, tre barbe di becco dovrebbero chiamarsi, che si spogliano al vento e le cui parti volano via, ma così come si vedono nell’aria sembrano paracaduti, alcuni vicini, altri in lontananza, ma tutti che si abbassano verso il suolo. Scrittore plurale, dice la quarta di copertina (arberesh
calabrese italiano tedesco-germanese trentino). Il grande viaggio, viene
subito in mente, di uno scrittore che ha vissuto a lungo in altri posti,
emigrato in Germania e in Trentino. Uno di quelli abituati a tornare dal
momento in cui parte, insomma. Anche se fin da subito, con Alla fine,
quello che assomiglia a uno spostamento attraverso l’Europa, Abate ce lo
mostra come il “viaggio nel mio cuore”, viaggio attraverso una geografia
interna, quella che non si riesce a spiegare, ma solo a raccontare, come
la vita. Questo libro è una chiave, la maniglia che apre
all’alta prosa di Carmine Abate. Quattro sezioni. Dimore tra me (
1979-1987 ), Dimore di me (1977-1979), Di more (1986-1995), Dimore di
noi (1989-1979). “Siccome mi piacciono le storie corali e circolari,”
sostiene l’Autore per Dimore di noi, “ho voluto riportare i testi di
questa sezione in ordine decronologico…” Non chiamarmi prosaico Sento odore di sterco |