Diritto di cronaca, 4 giugno 2011
Andata senza ritorno?
di Francesco Fusca
Le Terre di andata (Il Maestrale, Nuoro 2011, pp.
158, €. 14,00) sono tante, ma una sola è la Terra di ritorno. E si
chiama Carfizzi (Crotone). Ed è una comunità arbëreshe. Una Comunità
degli Albanesi d’Italia: quegli esuli che, dal Quattrocento in poi, in
più migrazioni, abbandonarono la Terra Madre – l’Albania, per sfuggire
il nemico invasore, portando con loro soltanto la forma mentis, gli usi
e costumi, la religione… La Libertà.
Come l’aquila bicipite che vola alto, nei cieli azzurri e più vicino al
Tetto del mondo, lasciando lontano e giù le schiere di corvi neri sempre
affamati delle bassezze del potere e dell’egoismo, così gli Albanesi
lasciarono Mëmëdheun -guardando per l’ultima volta le radici (rrënjet) e
lanciando un ultimo sospiro cupo e lancinante- per costruire nidi (folèt)
nell’amica terra italica…
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Non c’è andata senza ritorno. Parliamo dei migliori. Delle Persone che
sanno, che hanno consapevolezza, delle Persone che possiedono coscienza
ontologica. In altre parole: col buon Raul Maria DE ANGELIS ognuno deve
fare ritorno al suo borgo, al borgo natìo, che per De Angelis è
Terranova da Sibari e per Carmine ABATE, Carfizzi…
E sì! Il destino è segnato quando sui biglietti della ferrovia il
viaggiatore annota pensieri e sentimenti, soprattutto emozioni. E il
treno va. Va sempre. Si allontana. Il corpo va, ma la mente no! C’è un
andirivieni che confonde l’andata col ritorno e viceversa. La mente, i
pensieri, le esperienze, gli affetti, i ricordi dai diversi colori e
soprattutto quelli dal colore rosa -perché l’Infanzia è rosa, dorata,
fatata, sognata; incancellabile, indelebile, meravigliosa, fantastica,
…- tutto si allontana da Carfizzi, da Crotone, dalla Calabria, … ma il
cuore, no. E dunque la penna indòmita scrive, annota, puntualizza;
probabilmente, sospira e piange… Ah!, questi Scrittori…
I luoghi geografici sono molti, ma tantissimi sono i
luoghi dell’anima bella solare pulita. Come… l’emigrazione e le sue
pene, perché «costringere una persona a emigrare è un’ingiustizia da
combattere con ogni mezzo. Io lo facevo con una scrittura che
consideravo un impegno civile…» (pp. 154-155).
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No, credimi ma’! Madre, credimi, non ti preoccupare (Bielefeld,
8.1.1979). Sussurri: «La valigia / non me l’hanno rubata, ce l’ho qui /
ai miei piedi, tutto a posto, sto bene, / il viaggio è volato, il treno
era pieno, / ho mangiato tutti i panini. La salsiccia / quest’anno è
davvero speciale. Veramente. / Ne ho ancora in valigia. Ma sì che torno
/ presto, te lo prometto, non sono mica / andato in America come il
povero nonno, / papà te l’ha detto che non si sta male qui /se apri gli
occhi e le orecchie e lavori» (p. 17).
I Poeti. Ah!, questi funamboli istrioni sciamani. «Siamo qua. Buffi e /
sinceri
quanto basta. / Non vati, questo no. Ma soli. / Comunque anch’io
continuerò / a imitare i camaleonti o a / prenderli in giro. (…). E
invece siamo qua / a parlare di altri da soli / a cercare la lotta nei
fogli di carta» (p. 40).
Carmine Abate scherza e ride. Sorride sornione. C’è
tanta amarezza, tuttavia, nelle pagine che scorrono si susseguono si
rincorrono; nei versi forbìti (giocati vezzeggiati gironzolati), che si
intrecciano tra endecasillabi e ottonari, settenari, …
Cultura e Libertà. Cultura è Libertà. Letteratura e sregolatezza. La
trasgressione. La parola dell’Arbëresh di Carfizzi piace. È umana.
Coinvolge e trascolora. Insomma, giocoliere e acrobata della parola
raffinata, Abate graffia e accarezza, sa di Popolo e di Intellighenzia,
confonde e illumina il lettore con i fotogrammi di un film che,
direttamente o indirettamente, ogni Persona ha vissuto.
L’emigrazione, in particolare. Quando gli Albanesi
eravamo noi. Il 1989 è la caduta dei muri di Berlino. Al plurale.
L’emigrazione è lo strappo dell’anima, lo sradicare il non sradicabile,
l’uccidere senza portare alla tomba. Abate sa delle migrazioni, delle
Popolazioni che si spostano dal Sud al Nord della Terra; sa dell’Umanità
nomade, viandante. Sa della modernizzazione, della società globale
complessa informe liquida. Abate sa tutto. È un Uomo vissuto. Il Tempo
della sua vita non è passato invano: ha avuto e ha grandi occhi e grandi
orecchie. Soprattutto è dotato dei grandi occhi e orecchie
dell’intelligenza. Ha imparato molto, perché ha molto guardato
riflettuto capito, criticamente. Ha sofferto e ha gioito.
In questo contesto di idee, Parafrasando TERENZIO (e
oggi Edgar MORIN), possiamo volentieri dedicargli: Homo sum: nihil
humanum a me (mihi) alienum puto - Sono un uomo: niente che capiti a un
uomo considero a me estraneo. Ovvero: sono un uomo: nulla di ciò che è
umano mi resta estraneo (anche SENECA, CICERONE, …).
Una visione del mondo a cui da sempre aderiamo, profondamente
consapevoli di ciò, coscienti. Una Weltanschauung di orientamento. Di
Senso.
***
Mio Padre. Muratore. Emigrante. Intelligentissimo. Mitico. Per emigrare
(Argentina, Francia, Svizzera, Germania) -alias : per fare una vita… da
cani, ma con coraggio e rettitudine, con dignità, per ‘mantenere’ la
Famiglia- sopportò anche la scritta tedesca di alcuni locali: -Qui non
entrano né i cani né gli Italiani!
Mi diceva: -Figlio, io sono un Uomo facile! Io non capivo, laureato e
drogato anche di stupidaggini, pensavo: -Poverino, è proprio ignorante.
Ma il Tempo è sempre galantuomo. Chiarisce le idee e le cose. A chi ha
voglia di crescere in Cultura e Civiltà.
La Vita è grande. Ho imparato, sulla mia pelle, il Senso profondo di
quelle parole. Oggi sono un Uomo facile. Giocherellone con tutti e
tutto. So dei miei limiti.
Giovanni e Carmine emigranti dell’anima. Camaleonti purosangue. Uomini,
però.
«Non a caso -annota infine Abate, 6 marzo 2011- l’ultima poesia del
libro chiude solo temporaneamente il cerchio dei viaggi tra Nord e Sud,
tra dimore e memorie di movimento, congiungendosi al primo viaggio di
andata. Per poi ripartire» (p. 154).
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