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Adige-Corriere delle Alpi
Sabato 17 febbraio
2001
Lo
scrittore "transfuga linguistico" tra cultura italiana e arbërëshe
di Andrea Mubi
Letteratura minore, dice Deleuze, non è quella prodotta
da autori inferiori, ma quella prodotta da una minoranza in una lingua
maggiore. E di grande, prosegue, non c'è che il minore. Il ballo tondo di
Carmine Abate, presentato ai lettori trentini per il premio Arge Alp (giovedì
sera a Palazzo Geremia e venerdì mattina al liceo Rosmini), è un ottimo
esempio di questo tipo di letteratura. Di più, Abate è uno di quei
personaggi chiave per rendere questo Trentino una terra di confine
interculturale vivo, di cross-fertilizzazione, piuttosto che una remota
provincia isolata e chiusa su se stessa. E che un interesse verso questo tipo
di discorso ci sia l'ha mostrato l'assembramento di pubblico accorso
all'incontro. Nella sua pregevole introduzione il professor Giuseppe
Colangelo ha evidenziato la complessità del mondo arbëreshë delle comunità
albanesi in Calabria, di un mondo a cavallo tra conservazione e disgregazione
sociale; e soprattutto la complessità degli equilibri di cui si nutre la
scrittura di Abate, sospesa a metà fra mito e cronaca, fra vita e sogno, fra
ricordo e invenzione.
Perché Il ballo tondo, termine che si riferisce a una danza tipica delle
feste nuziali, si svolge in un piccolo paesino arbëreshë che è la
trasfigurazione letteraria della nativa Carfizzi, in provincia di Crotone. E
Abate abbandonò Carfizzi da piccolo per seguire la famiglia, Gastarbeiter in
Germania. La trama principale del romanzo ritorna quindi non a caso a un
protagonista bambino che osserva vita e destino della piccola comunità
albanese. Questa si interseca poi con un ordito di vicende familiari ad
incastro, molte delle quali riprendono i temi delle rapsodie, le cantate
popolari capaci di preservare la memoria culturale delle comunità arbëreshë
tramandando storie e miti del passato (strumento davvero formidabile di
sopravvivenza per una cultura che si trova esclusa e rinnegata dalle
istituzioni pubbliche ufficiali dello stato).
D'altra parte, il lavoro che Abate ha compiuto sulle rapsodie (queste
"storie tutta polpa, veloci e leggere, piene di metafore semplici ma
efficaci") come sappiamo è più che letterario e si può ben dire
socio-antropologico: le sue ricerche sull'emigrazione italiana in Germania
risalgono a Die Germanesi del 1984, che può vantare un'introduzione di
Norbert Elias. Mentre la produzione letteraria di Abate non conta solo
romanzi (come appunto Il ballo tondo, uscito nel 1991 e ripubblicato da Fazi
nel 2000: 216 pagine, 22.000 lire) ma anche varie raccolte di poesie, come
Dimore, Di noi e Terra di andata.
I migranti ci mostrano una diversa modalità di percepire i confini: non più
confini-linea che separano e tagliano regioni identitarie, ma confini-spazio,
che creano luoghi di ibridazione e meticciato culturale. Così accade anche
per la lingua, e lo stesso Abate si è definito in passato un "transfuga
linguistico", a causa di questo suo non appartenere stabilmente a
nessuna delle tre lingue italiana, arbereshe e tedesca - o forse quattro, se
vogliamo aggiungere alla lista il "germanese", quel tedesco
imbastardito frutto dell'emigrazione, con tutto il suo carico di ingiustizia
sociale ma anche con la sua capacità espressiva indomita.
Tanto ricco sul piano espressivo, Il ballo tondo non lo è di meno su quello
tematico, come è stato notato da più di un recensore: il romanzo è stato
definito da alcuni "un'epopea minore", da altri "una vorticosa
saga familiare". Neppure è sfuggita l'affinità con uno scrittore
proveniente da un'altra grande terra di meticciato, Garcìa Marquez, e con il
realismo magico dello scrittore sudamericano. Magiche, due sere fa a palazzo
Geremia, sono state infine recitazione e canto da e su Il ballo tondo a cura
del gruppo Finisterre teatri di Giacomo Anderle, con la splendida voce della
cantante Camilla Da Vico.
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