«Il muro dei muri» di Carmine Abate
Stranieri all'estero tra rabbia e nostalgia
di Domenico Nunnari
Le storie germanesi di Carmine Abate, da poco pubblicate
nella Piccola Biblioteca degli Oscar Mondadori («Il muro dei muri», pagine 207,
euro 8,40), tutte insieme, compongono una forma di «romanzo a racconti», con cui
l'autore, di origine calabrese della comunità arbereshe, riprende il
tema-bussola della sua narrativa, quello degli stranieri all'estero, uomini
dalla «vita capovolta, con i piedi al Nord e la testa al sud».
Più che riprendere, dal punto di vista della cronologia delle pubblicazioni di
Abate, proprio con le storie germanesi, comincia quell'idea di romanzo che è
compresa nel narrare del romanziere di Carfizzi, poiché questi racconti sono
stati scritti, o quantomeno stampati, prima dei romanzi di successo che abbiamo
conosciuto negli ultimi anni. Pubblicati per la prima volta in Germania e in
lingua tedesca, nel 1984, rappresentano l'esordio ufficiale, nella narrativa, di
Carmine Abate, l'inizio della sua esplorazione letteraria in un mondo in cui non
si è mai felici fino in fondo.
Storie che, nella vita quotidiana, si consumano tra rabbia e nostalgia, tra
strappi dalle proprie radici e dagli affetti lontani.
In quattordici storie forti, impregnate di lontananza e solitudine e con un
dolce navigare nel mondo delle parole, delle vicende, dei profumi, degli odori,
dei ricordi del paese d'origine, Carmine Abate riesce a mettere insieme i
pezzetti di un mosaico che ha sullo sfondo quella Germania in cui, prima gli
italiani e poi i turchi, hanno vissuto, e ancora vivono, in quella comunità
immaginate fatte di stranieri che sognano di tornare a casa loro. La vita dei
personaggi delle storie germanesi di Abate, si dispiega tra quei paesi
dignitosamente poveri della Calabria e quelle grandi città che i bambini
segnavano con un puntino rosso a scuola, per riconoscere il luogo dove abitava
il loro papà: Amburgo, Francoforte, Colonia, tutte metropoli dove anche le
fabbriche erano più grandi dei loro paesi. Quei bambini dei paesi poveri,
sognavano i loro papà e loro, i «germanesi», emigranti a vita, sognavano le loro
creature. S'intrecciano, nei racconti germanesi, storie d'amore e di ribellione,
di conflitti generazionali e di razzismo, di emigrazione e di partenze e
ritorni. La nostalgia, insieme all'istinto per l'imprevisto e l'obbligata
inclinazione al tribolato girovagare, distingue la gente che affolla «Il muro
dei muri». Uomini che si materializzano solo a Natale, che conoscono i segreti
dell'astuzia che salva e sanno resistere al destino avverso. La consolazione,
quando la solitudine assale e azzanna alle viscere, la cercano nella terra di
origine e nella famiglia. Chi parte, se può, torna da vecchio, per rifugiarsi
nel grembo di una madre terra amata, per rientrare nella storia, nella civiltà e
nell'intimità di un paesaggio umano e di una natura pieni di contraddizioni, ma
unici e misteriosi.
Carmine Abate racconta magistralmente il «meraviglioso disordine» della terra da
cui gli emigranti partono e riesce a coniugare scrittura civile e avvincente
capacità di narrazione, lungo un itinerario di esplorazione di un fenomeno
dimenticato dagli italiani, ma molto simile a quello di chi oggi irrompe
nell'Europa moderna, a bordo di scalcagnate carrette del mare, con le nuove
ondate migratorie.
Le storie germanesi di Abate, sono unite da una affinata tecnica di
affabulazione, ma soprattutto dallo stesso tema: quello delle ferite profonde
che lascia l'emigrazione che porta lontano da quei paesi del Sud, fatti di afa,
di mare e di affetti e da quei dolorosi pellegrinaggi di un'umanità in fuga
dalla povertà, che sono il segnale di una malattia grande che si cura volgendo
lo sguardo indietro agli affetti, ai sentimenti, ai luoghi a cui sono
affezionati.