Il nostro tempo
12 dicembre 1999
 


Una moto Guzzi fa la spola fra Germania e Calabria
di Luca Desiato


   Una MITICA moto Guzzi è il filo conduttore del racconto che l'io narrante Giovanni Alessi, trentenne calabrese più volte emigrato in Germania e più volte ritornato, fa ai suoi coetanei rimasti nel paese di Hora. Si tratta della moto-cimelio che suo padre, soprannominato Scanderbeg, gli aveva lasciato come un'eredità incantata, catalizzatore di avventure, bravate e cimenti: il ricordo di una vita quasi selvatica al di sopra di convenzioni e prigionie nelle strettezze del quotidiano. Un romanzo, questo del giovane autore Carmine Abate, intitolato appunto "La moto di Scanderbeg", recentemente edito da Fazi editore, che porta endogena una ricerca di radici nel vivere convulso di oggi, essendo l'autore nato in un paese calabrese popolato dai discendenti degli albanesi che qui, nel Cinquecento, in fuga dai conquistatori ottomani, presero dimora. C'è nel racconto il ricordo delle lotte contadine per l'occupazione, nel dopoguerra, delle terre del latifondo, con quel padre, bello come un arcangelo guerriero, sempre avanti a tutti, scorrazzando per campagne brulle con quel simbolo di libertà e affrancamento dalla condizione servile, la moto come un destriero indomito, che sarà eredità gelosa del figlio, la moto di Scanderbeg, dall'antico eroe albanese a capo del suo popolo nella lotta contro l'invasore. C'è anche l'amore contrastato con Claudia, altera, insofferente e inquieta, figlia di un emigrato e di una tedesca, che torna in paese durante le vacanze estive; ma la sua vita è ormai a Colonia, dove invita Giovanni a seguirla e saranno per lui lavori precari, una relazione difficile, un prendersi e un lasciarsi, immersi nel gelo di una città cosmopolita, fra gente del tutto diversa. C'è infine la presenza intermittente di Stefano, amico d'infanzia, un ragazzo "dagli occhi di calamita", dotato di strani poteri di preveggenza. Il romanzo fa continuamente la spola fra i ricordi tedeschi: diffidenze, difficoltà di adattamento, problemi di rapporti in un'Europa che fatica a decollare come comunità di popoli, e i ricordi mediterranei di una Calabria terra mitica di sole e miseria, di odori e colori, fragranze stridenti con l'arretratezza, gli odi atavici, le usanze crudeli e i pregiudizi. In questo contrasto, in questa dialettica, con al centro quella Guzzi simbolo paterno di libertà e affrancamento, vi è il nocciolo di una storia raccontata con convincente partecipazione narrativa. Un intrecciarsi ma anche un complicarsi dei fili della trama, vicende che si avvolgono l'una nell'altra, via via che la rievocazione procede, a soprassalti, dettata dal ricordo, dalla realistica sintesi voluta dalla realtà: un sovrapporsi di esigenze, richiami, vita vissuta e vita rievocata. Dall'altro versante, la nuova terra di Germania, con la nostalgia degli immigrati anziani, le bevute di birra, la cioccolata a profusione, segno di opulenza. Nel racconto rimane soprattutto impresso il personaggio di Scanderbeg, il padre amato, morto troppo presto per una stupida bravata, e sono ritorni ciclici, nella rievocazione mentale, nel sogno, nella presenza umbratile nella mente, un modello col quale confrontarsi in vista della propria identità. Un ritratto a tutto tondo di una figura virile, sognatrice e anticonformista, un uomo infatuato di libertà in un mondo, come quello d'oggi che, il ruolo paterno, l'ha visto a dir poco sbiadire.