L'Indice
dei Libri del mese
5 gennaio 1999
"E poi ci raccontò quest'incredibile storia" Inizia così il secondo romanzo di Carmine Abate: ancora una volta all'insegna dell'oralità che è poi la cifra della sua narrativa. Un'oralità colloquiale ma al contempo scaltramente intessuta di arguzia fabulatoria. Due gli ambienti che attraversa "La moto di Scanderbeg": Hora - paese calabro, dove è insediata da secoli una comunità albanese, orgogliosa della propria lingua (l'arbëres) - e Colonia - città di emigranti, topos d'esilio e alterità. Due le tematiche, giocate sul binomio identità e sradicamento, che affrontano da varie angolature il difficile inserimento dei calabro - albanesi in terra tedesca, il problema della ricerca delle proprie radici e il vagheggiamento d'un nostos tanto auspicato quanto improbabile. Due pure i protagonisti del libro. Giovanni, sempre in fuga da se stesso, da Hora e dal fantasma di un padre mitico, non a caso chiamato Scanderbeg dal nome del leggendario eroe Giorgio Castrista (XV sec.), campione della resistenza albanese antiturca. E Claudia: compaesana nonché incerta fidanzata del giovane; apolide forse più di lui. Così la coppia e il loro precario ménage rimarcano l'aura di non conciliazione che pervade questo racconto di rapporti laceranti e dell'impossibile compromesso fra utopia e realtà, patria onirica e concretezza di un quotidiano straniante. Altrettanto binario, a passo di pendolo, il ritmo alternato del testo in cui si passa da Hora a Colonia, dalla memoria di uno ieri fantasmatico all'oggi alienato dei Gastarbeiter in Germania. Ma è il passato e la sua idealizzazione a fare la parte del leone attraverso il padre di Giovanni, uno Scanderbeg del nostro secolo, sempre in sella alla sua moto Guzzi, destriero d'acciaio con cui questo moderno cavaliere errante affronta agrari o poliziotti pronti a sparare agli occupanti dei latifondi. Claudia vorrebbe sì che Giovanni cancellasse "questo passato catarroso che ti soffoca", ma per il figlio di Scanderbeg esso "ha fatto il nido nelle cellule". Quindi, incapace di elaborare il lutto per la perdita del genitore e di prendere commiato dai fantasmi, il giovane finisce per guastare il rapporto con la ragazza, e il ritorno a Hora - l'ultimo prima di una morte annunciata da un veggente - è il prevedibile epilogo di "La moto di Scanderbeg". Un ritorno impossibile narrato con lirismo melanconico di cui una scrittura sorvegliata riesce però a evitare gli eccessi. Forse, rispetto ad altre prove, qui c'è meno ironia, e l'autore prende un po' troppo sul serio gli assilli del suo Giovanni. Forse lo scialo di sogni si poteva maggiormente contenere, ma resta confermata la maestria evocativa di Abate che è felice quando, smessi i toni accorati, tratteggia volti o paesaggi; quando leggendo certe descrizioni pare di cogliere olfattivamente la campagna; quando ai protagonisti si sostituisce il coro delle voci paesane e i conflitti psicologici cedono il passo a un'epica minore dove si narra l'antieroica impresa di sopravvivere |