C’č un cantastorie che solca il mare
Viaggio nelle generazioni fra Albania e Calabria
di Lorenzo Mondo
Carmine Abate alimenta i suoi romanzi ispirandosi alla
terra d'origine che č la Calabria, quella abitata dalle comunitā albanesi
fuggite nei tempi andati dall'oppressione ottomana. Insieme al calabrese e
all'italiano, parlano la loro lingua originaria, l'arberesh; conservano
attraverso la fede ortodossa e i costumi superstiti un riverbero d'Oriente,
mentre il nome dell'eroe Scanderbeg resiste nella tradizione orale con la forza
di un talismano. Sono queste peculiaritā a stendere una patina diversa su temi
che abbiamo incontrato in tanta narrativa meridionale, dalle lotte sociali del
dopoguerra all'emigrazione, dal tramonto della cultura contadina alla
rivisitazione nostalgica e disincantata
dei paesi da parte dei figli diventati cittadini del mondo. Era una materia che,
per quanto rinfrescata e trattata con mano svelta, correva il rischio
dell'esaurimento ed esigeva forse uno scatto stilistico. Mi sembra che Abate ne
fosse cosciente, e lo si avverte dalla sua ultima prova, Il mosaico del tempo
grande.
Mosaico č, per diversi motivi, la parola chiave del libro, che trova proprio il
suo fuoco centrale
nel laboratorio di Gojāri, lo straordinario fabulatore che sa mettere insieme le
parole come le
tessere colorate di un'arte antichissima. Il protagonista Michele si č appena
laureato e, aspettando di partire per il Nord in cerca di lavoro, frequenta con
gli amici il vecchio Gojāri, custode delle storie che dal "tempo grande" delle
passate generazioni arrivano fino al presente. Ripercorriamo cosė le vicende
epiche dei primi fuggiaschi dall'Albania in fiamme, come in una piccola Eneide,
e il loro radicamento in Calabria dove fondano, a specchio di una mitica Hora
perduta, una nuova cittā. Sono sempre in ascolto dei segnali che arrivano
dall'altra riva, che non sono confortanti, per quanto dura sia la vita dei
profughi, tra la diffidenza dei nativi e le soperchierie baronali. Vengono
spenti nel sangue i tentativi di riconquista cristiana, si fanno radi i rapporti
tra le due sponde e l'Albania diventa sempre pių chiusa, fino a trovare nell'etā
moderna, sotto il dominio di Enver Hoxha, pių ferree, spietate catene. Il
ricongiungimento avviene quando, caduta la dittatura comunista, arrivano in
Italia, con esiti spesso funesti, i gommoni degli scafisti. A tenere il campo,
nel corso dei secoli, č la famiglia Damis, capostipite il papās che ha eretto ad
Hora la prima chiesa. Ma i suoi ultimi discendenti sono presi da pių terrestri
passioni. Accade ad Antonio Damis che, abbandonata la promessa sposa, insegue a
Tirana una ballerina di cui si č invaghito e la aiuta a fuggire oltre la cortina
di ferro, nell'Europa del Nord. E' avversato dai compaesani, anche perché
sospettano che abbia rubato l'antico tesoro della chiesa. Quando ritorna, vinto
dalla nostalgia, riconsegna l'oro trafugato e conservato in un ripostiglio
segreto. Manca soltanto il pugnale appartenuto a Scanderbeg, che ricompare
tuttavia come strumento di una folle, privata vendetta. Michele intanto si č
legato d'amore per la figlia di Antonio, una Laura dai lunghi capelli biondi su
cui "si posavano come tante avide api i raggi di sole". E questa passione
condivisa per la ragazza restituita, quasi per una sorta di risarcimento, alla
terra dei padri chiude il romanzo in una luce di conciliazione.
Abate costruisce il suo libro prendendo idealmente a prestito l'arte del
cantastorie e mosaicista Gujāri. I capitoli si dispongono, tassello dopo
tassello, secondo le intermittenze e gli andirivieni del suo raccontare,
seguendo il percorso raggiante delle scaglie posate sul telaio. Superato qualche
primo imbarazzo, si prende confidenza con il passaggio da un secolo all'altro,
dall’una all’altra vicenda, come se il mosaico di Abate trovasse la sua unitā
proprio nel reticolo delle connessure, degli inappariscenti spazi bianchi.
(Disturba appena l'eccesso di locuzioni arberesh, che fanno macchia a sé, come
incomprensibili geroglifici). Il suo Michele si
scopre infine parte di questa storia grande, segnata da continue partenze e
ritorni. Sente che, nel mutare delle circostanze, č coinvolto, onda di un solo
mare, nel destino della sua gente, dell’umanitā migrante.