MAGNETICO ROMANZO DI ABATE
Il paese nel vento
di Elena Fontana
“La ferita della partenza”, si potrebbe porre come
sottotitolo. Perché l’esperienza dell’emigrante, Carmine Abate l’ha vissuta
sulla sua pelle e la sente ancora viva dentro di sé. E’ proprio da questa
che sgorgano fiotti di storie, palpitanti di vita. Storie di grande forza
emotiva ed evocativa, perché “mentre scrivo č come se vivessi altre vite,
che anche se appartengono al passato, le vivo con la stessa intensitą al
presente”, confessa lo scrittore.
Questa sua magnetica energia narrativa la si riscontra in modo sorprendente
nel suo ultimo romanzo “Il mosaico del tempo grande” (Mondadori 2006, pp.
233, € 16,50). Qui, la ferita della partenza fa un tutt’uno con quella degli
arberėshė: dalle imbarcazioni dei profughi che lasciano il primo paese di
Hora in Albania, saccheggiato e incendiato dai turchi sul finire del 1400,
al gommone carico di disperati in fuga dalla dittatura di Enver Hoxha nei
pił recenti anni ’90.
E’ un mosaico di storie che oscillano come un’altalena continua fra luoghi,
tempi e lingue diversi. Fondendo veritą storica e suggestioni fantasiose,
misurato patos e semplicitą nel raccontare, lo scrittore ricostruisce le
vicende della minoranza etnica italo-albanese che vive in Calabria. Il
villaggio di Hora al di qua del mare nostro, “il paese sulla collina del
vento”, diventa nel romanzo il luogo di flusso e smistamento di tante
storie, individuali e comunitarie, che si rincorrono e si intrecciano nella
gioia come nel dramma.
UN MOSAICO DI MEMORIE
Assunto centrale č che la memoria ha un ruolo fondamentale per la
sopravvivenza dell’identitą collettiva. “Non ci siamo persi e non lo saremo
fino a quando conserveremo memoria di chi eravamo e da dove veniamo”, dice
il papąs Dhimitri Damas alla sua gente nel giorno in cui decidono di
fermarsi sulla collina e fondare la nuova Hora. Passano gli anni e, di
generazione in generazione, i due paesi - la “Hora jonė”, “il paese nostro”
come si continuava a chiamare il villaggio al di lą del mare, e la Hora
calabrese - “si confondono, si mescolano, diventano la stessa cosa, con le
stesse memorie trasparenti”.
Ma quando fra il “tempo grande” della fuga e l’oggi si frappone un vuoto di
memoria, c’č sempre qualcosa o qualcuno che puņ riempirlo per andare avanti.
Cosģ l’antica icona di Shėn Jani Pagėzor, che i primi profughi avevano
portato con loro, quando sarą appesa nella nuova chiesa consacrata,
susciterą un brivido “nell’angolo remoto della memoria collettiva” insieme
alla scoperta “che abbiamo avuto un destino comune, insieme abbiamo sofferto
o gioito e in fondo siamo pił uniti di quanto crediamo”.
In particolare, ci pensa Adrian Demisa a coltivare la curiositą di coloro
che lo hanno accolto profugo ad Hora, mentre va abilmente componendo tessera
dopo tessera le figure del suo Grande Mosaico. L’artista sfuggito ai
massacri di Hoxha, č simpaticamente chiamato Gojąri, ossia Boccadoro perché
“ha mille storie nella bocca, tutte vere e preziose”. E le racconta mentre
le fissa nel mosaico perché durino il pił a lungo possibile, ispirato da
quel filo invisibile della bellezza “che lega lo sguardo al cuore e dą
profonditą alla nostra vita”.
I PROTAGONISTI
Ricostruire il mosaico del tempo, con il recupero del passato, č l’impegno
dei tre protagonisti principali: Antonio Damis, Michele e Gojąri. Antonio
Damis č spinto da un impulso indomabile a ripercorrere le tracce dei padri e
va in Albania alla ricerca di quel luogo “in cui tutto ebbe inizio”. Anche
se grande sarą la sofferenza nel trovarvi solo ruderi di case bruciacchiate
con il mitico lago di ninfee “diventato uno stagno di rane magre e
gracchianti”. Ma c’č sempre un vecchio che ricorda…
Michele č un giovane fresco di laurea all’inizio degli anni Duemila, che
ritarda la sua partenza per il Trentino in cerca di occupazione, e che č
spinto da un’insaziabile curiositą per tutte le storie che racconta Gojąri.
Protagonista č anche la forza dirompente dell’amore. Un amore profondo,
intessuto di passione e di sensualitą, come quello che fra Antonio Damis e
Drita, la ballerina di Tirana, e fra Michele e Laura. Un amore “che č
attrazione verso l’anima della persona di cui ti innamori, ma anche del
corpo, del gesto e di quell’alone di sensazioni che rendono gioioso
l’amore”, ci precisa l’autore.
E poi, protagonista invisibile, ma onnipresente ed insidioso č il vento. Il
vento che farfuglia fra i sogni e le ossessioni della gente. Alle volte č
lieve come un alito che porta i profumi della nuova primavera, di
biancospino, di ginestra spinosa, di rose selvatiche. Alle volte č “il malo
vento” denso e sciroccoso che toglie il fiato e la voglia di agire. Alle
volte č la temuta “ombra di vento”, un’ombra sfuggente, che si specchia
beffarda negli occhi di chi vede volteggiargli intorno la morte.
ALTRE TESSERE
Ci sono anche storie di risentimenti covati a lungo e voglie di vendetta
tramandate da una generazione all’altra. C’il senso dell’ospitalitą e della
festa popolare. Ci sono le baldanze giovanili e i chiacchierii delle donne
nei vicoli. Ci sono atmosfere che incantano col loro fresco lirismo. E non
manca un tocco di giallo per via della scomparsa dell’oro, raccolto fra la
gente per la costruzione della nuova chiesa di Hora.
“Il mosaico del tempo grande” č quindi tutto un mosaico di smaglianti
emozioni e di pensieri, comunicati con una straordinaria capacitą di
affabulazione che si avvale di un colorito linguaggio misto di arbėresh,
dialetto calabrese e lingua italiana. “Un capolavoro”, lo definisce il
critico Giuseppe Colangelo.
Elena Fontana
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