La Provincia, 13.03.2006
 

Carmine Abate incontra Spezzano Albanese
di Giuseppe Montone

  Carmine Abate incontra i cittadini di Spezzano Albanese. Mantenendo fede all’impegno assunto nel dicembre scorso quando, per improrogabili impegni di lavoro, non potè partecipare alla VI° edizione del “Premio Città di Spezzano Albanese” organizzato dal Bashkim Kulturor Arberesh (Bka), lo scrittore è arrivato appunto sabato 4 marzo alle ore 18 presso il superbo Palazzo Luci dove, in una sala conferenze gremita, ha finalmente ritirato personalmente il premio conferitogli. Un riconoscimento che, com’è ben noto, il Bka assegna alle personalità che, albanesi o non, abbiamo comunque contribuito in qualche modo a dare lustro sia a Spezzano Albanese che all’Arberia in genere. Carmine Abate è nato nel 1954 a Carfizzi, un paese italo-albanese in provincia di Catanzaro. Dopo aver risieduto a lungo in Germania, attualmente vive in Trentino, dove insegna. L’esordio narrativo arriva per lui nel 1984 con i racconti “Den Koffer und weg!”. Tra i suoi libri: La moto di Scanderbeg (Fazi, 1999; “Premio Crotone”, “Libero Bigiaretti” e “Ricalmare-Leonardo Sciascia”) e Il ballo tondo (“Premio internazionale dei lettori Arge Alp” e “Premio Stresa della Giuria”). Con il romanzo “Tra due mari” (ed. Mondadori, 2002) Abate raccoglie un grande successo di critica e di pubblico, vincendo diversi premi. Ed è ancora una volta la Mondadori a pubblicare nel 2004 il suo romanzo “La festa del ritorno”, del quale, così come per il libro “Tra i due mari”, sono stati addirittura opzionati i diritti cinematografici. Un incontro, quello di sabato pomeriggio, organizzato dal Bka con il patrocinio dell’Amministrazione comunale e che è stato anche l’occasione per presentare l’ultima fatica letteraria del grande scrittore calabrese-arberesh, “Il mosaico del tempo grande” (ed. Mondadori). Alla manifestazione erano presenti Giuseppe De Rosis (dirigente Bka) che ha coordinato gli interventi, il sindaco di Spezzano Albanese Ferdinando Nociti, l’Assessore Giuseppe Muià, il direttore della biblioteca “G.A.Nociti” Giuseppe Acquafredda e lo scrittore e saggista Pierfranco Bruno (l’altro illustre premiato di questa VI° edizione). “Nei libri di Abate – ha evidenziato Acquafredda – c’è tutti il nostro mondo arberesh, raccontato con una lingua che sa farsi leggere e nella quale trovano ampio spazio molti termini dialettali e arberesh che permettono così all’autore di riprodurre la quotidianità in tutte le sue sfumature e di avvicinarsi moltissimo allo spirito della realtà da cui proviene”. Da parte sua Bruni, che ha fatto notare che sarebbe riduttivo collocare Abate unicamente nel contesto della letteratura arberesh, ha poi sottolineato le grandi conflittualità che l’autore porta con sé, ovvero il senso della partenza e la metafora del ritorno. “Dentro i mosaici dei personaggi – ha aggiunto – ci sono i ricordi. Ed egli non spiega, bensì racconta. Giocando con il linguaggio in termini positivi. Il tutto attraverso i fili conduttori delle sue storie che sono il mosaico ed il tempo”. A chiudere lo splendido ed indimenticabile pomeriggio di festa e cultura, arriva quindi l’attesissimo intervento dell’ospite d’onore. Che non tradisce le attese e conferma di essere una delle migliori espressioni della letteratura moderna. “Sono onorato per questo Premio – ha esordito Carmine Abate – perché viene dalla mia gente, dalle persone che mi sono più vicine e le cui storie racconto. Lo terrò nella mia casa di Carfizzi tra i miei ricordi più cari e preziosi”. Detto ciò, l’autore calabrese-arberesh si è soffermato sulla peculiarità del suo stile, fatto di “pluralità e mescolanze linguistiche”. “Una lingua inventata ma non artificiale – ha spiegato – che si presenta come specchio fedele di ciò che sento dentro e che non richiede mai alcuna correzione. Una lingua viva arricchita da metafore tipiche della nostra cultura che accompagna il mio racconto, ed è raccontando (piuttosto che enunciando delle teorie) che si dimostrano meglio le cose. In questo libro, inoltre, dove la realtà, come spesso accade, si impiglia nelle pagine, per la prima volta affronto il tema delicato del rapporto con l’Albania, attraverso le vicissitudini e la sofferenza dei profughi”. Un viaggio realistico, crudo e malinconico lungo i sentieri dell’albanesità, dunque, ripercorrendo luoghi, ricordi e situazioni, guidati dalla voce magistrale dell’io narratore che prende letteralmente per mano il lettore accompagnandolo lungo un sentiero fatto di quotidianità e verità. Una pagina profonda di letteratura nella quale il confine sottile che separa realismo e vita reale si confondono e stringono in un profondo abbraccio di musica e poesia.

L’intervista

In una carriera ricca di successi come quella di Carmine Abate, quale significato assume il “Premio Città di Spezzano Albanese”?
“Un significato certamente fondamentale. E’ un riconoscimento per me importantissimo, perché arriva da un paese arberesh. E ritengo che essere riconosciuto come scrittore dalla propria gente sia un motivo di grande orgoglio e di vanto. Ma soprattutto vuol dire essere in sintonia con la propria terra”.
Una lingua “inventata” per raccontare cosa? Cosa deve aspettarsi dai suoi libri chi, come me, non li ha ancora letti?
“Io racconto delle storie radicate nella mia terra. Una terra multiculturale nella quale sono presenti diverse forme linguistiche, tra le quali l’arberesh, il calabrese, l’italiano e nella quale cominciano a entrare anche termini germanesi. Una terra, inoltre, costretta a far emigrare la sua gente. E nei miei libri queste storie prendono lentamente forma attraverso una lingua mescolata, contaminata. Ed è importante non rinunciare mai alle tante radici di cui siamo composti e alle tante lingue che parliamo: e personalmente cerco di farne tesoro, di farle diventare ricchezza culturale”.
Una Calabria viva e reale, dunque, raccontata dalla penna di uno scrittore che ha vissuto in prima persona il dolore e l’amarezza dell’emigrazione verso le ricche città del nord.
“Esattamente. Sono stato costretto a vivere fuori, perché – come tanti giovani – non trovavo un lavoro. Ma oggi cerco di vivere il più possibile nella mia Calabria. Senza però rinunciare alle nuove radici che però vedo spuntare in me dopo tanti anni vissuti lontani dalla mia terra. Ed è appunto questo l’aspetto più importante: non rinunciare mai e in nessun caso a nessuna delle proprie radici. Appunto come nel mio libro ‘Il mosaico del tempo grande’, dove l’identità è fatta di tante piccole e diverse tessere che concorrono tutte insieme a darle un senso definitivo e completo”.