ABATE, questo è capolavoro
“Il mosaico del tempo grande” per Mondadori:
pura gioia narrativa, intreccio ricco e sapienza
di Giuseppe Colangelo
Ormai lo si può affermare con tranquilla sicurezza:
Carmine Abate è lo scrittore che più di tutti, negli ultimi quindici anni, ha
contribuito, con la sua vitalità creativa ad alimentare di nuove energie la
narrativa italiana. Dalla sua penna, in questo torno di tempo, sono usciti
quattro romanzi di grande valore («Il ballo tondo», 1991; «La moto di Scanderbeg»,
1999; «Tra due mari», 2002; «La festa del ritorno», 2004) e un volume di
racconti («Il muro dei muri», 1993), tra i quali alcuni da antologia.
Egli ha affrontato temi di forte portata sociale (l'emigrazione, l'impatto della
modernità sul mondo contadino, l'incontro-scontro tra culture diverse)
innestandoli di volta in volta in vicende di ampio respiro e innalzandoli a un
livello di resa artistica quasi mai raggiunto prima. Quando poi si è immerso nel
passato, più lontano (storico o mitico che fosse), ne ha sempre ricavato storie
narrativamente avvincenti, saldamente ancorate nella memoria collettiva e perciò
capaci di offrirsi come strumento di riflessione sul presente. Abate, insomma,
ha suonato la corda civile laddove altri (spesso incoraggiati dagli editori)
cannibaleggiavano o si esaltavano nel minimalismo e altri ancora si crogiolavano
nel calligrafismo o esibivano architetture costruite con consumata perizia,
dietro cui però, in molti casi, non c'era nulla.
Già questo non è un merito da poco, e tuttavia ciò che davvero distingue Abate e
ne fa un narratore quasi unico nell'attuale panorama letterario di casa nostra,
è soprattutto la sua smagliante abilità affabulatoria. Una qualità nativa che lo
guida, pressoché infallibilmente, a collocare episodi, personaggi e ambienti
dentro intrecci sempre ricchi di sorprese e di stimoli e che trova il suo degno
compimento in un linguaggio di rara potenza espressiva.
Un'ulteriore conferma di tali chiarissimi pregi - se mai ce ne fosse ancora
bisogno - ci viene dal nuovo libro dello scrittore calabrese, «Il mosaico del
tempo grande» (Mondadori), approdato da pochi giorni sui banchi delle librerie.
È un romanzo che sorprende, come e forse anche più dei precedenti. Per la
varietà della tessitura, per lo spessore dei contenuti e - last, but not least -
per l'originalità dello stile.
La trama è così densa e coinvolgente da non lasciarsi facilmente ridurre a
sintesi lineare, se non a prezzo di semplificazioni banalizzanti. Dirò allora
(anche per non togliere al lettore il gusto di scoprirne gli snodi più
emozionanti) solo che questo libro aggiunge nuove, fondamentali, tessere al
mosaico narrativo inaugurato, tre lustri fa, con «Il ballo tondo». Romanzo dopo
romanzo, affidandosi ora alla verità storica ora alla libertà fantastica, Abate
ha raccontato i momenti più significativi delle vicissitudini toccate agli
arbëreshë , la minoranza etnica di cui è oggi uno dei figli più illustri:
l'abbandono dell'Albania a seguito dell'invasione turca (XV sec.), il loro
arrivo e insediamento nell'Italia del sud, l'emigrazione transoceanica alla fine
dell'Ottocento, la partecipazione alle lotte contadine nel secondo dopoguerra e,
di nuovo, l'emigrazione in Europa e nel nord del nostro paese tra gli anni
Cinquanta e Sessanta.
Più volte poi, in modo sempre creativamente efficace, ha rappresentato la
gentile tenacia con cui la gente arbëreshe si è sforzata di mantenere vivi i
tratti profondi della propria identità culturale. Qui, ne «Il mosaico del tempo»
grande, quello sforzo diventa impegno consapevole, o meglio, obbiettivo
irrinunciabile che informa i destini dei tre personaggi principali. A cominciare
dal più inquieto di essi, Antonio Damis che, incurante dello scetticismo
beffardo di molti suoi compaesani, va a cercare in Albania - siamo negli ultimi
anni della dittatura di Enver Hoxha - il luogo dal quale partirono forzatamente
gli antenati, al tempo in cui tutto ebbe inizio per gli arbëreshë , il "tempo
grande".
Ricostruire il percorso dei padri non è, per Antonio Damis, il gesto nostalgico
di uno che vive di fisime, bensì un atto di conoscenza nonché di
riappropriazione di un patrimonio di storie, di tradizioni di miti capaci di
alimentare quella memoria comunitaria che egli sente come l'unica possibile base
per la sopravvivenza dell'identità del suo popolo.
Lo stesso sentire anima anche gli altri due protagonisti del romanzo, Michele e
Ardian Damisa. Il primo è un giovane fresco di laurea che pur vivendo pienamente
nell'oggi (la vicenda principale del libro si svolge durante un'estate d'inizio
Duemila, il resto è frutto di appassionanti flashback ) ha forte coscienza del
valore creativo del passato. Di qui la sua insaziabile curiosità per tutte le
storie della sua gente: da quelle remote della fondazione di Hora, (è il nome
emblematico del villaggio calabrese in cui è ambientata gran parte delle
narrazioni di Abate) a quelle più recenti. Quanto al secondo, egli è un albanese
scampato agli estremi colpi di coda del regime di Hoxha e arrivato nel 1990 ad
Hora, dove si è perfettamente integrato nella comunità locale. Mosaicista di
prim'ordine, ha aperto un laboratorio artistico ed è conosciuto da tutti con il
soprannome di Gojàri, cioè Boccadoro, perché «ha mille storie nella bocca, tutte
vere e preziose come l'oro». Ma Gojàri, come attesta il suo cognome (Damisa),
discende dallo stesso ceppo dei fondatori di Hora e perciò le sue mille storie
sono le mille storie degli arbëreshë .
C'è l'incontro e l'amicizia di Gojàri e Antonio Damis all'origine della passione
conoscitiva di quest'ultimo. È Gojàri che sazia la curiosità di Michele
raccontandogli le storie di cui è impagabile depositario e facendolo assistere,
giorno dopo giorno, alla creazione del suo capolavoro, il mosaico che ha per
soggetto il "tempo grande". È Gojàri, infine, che prospetta, facendone la sua
poetica, la necessità di «collegare il passato al presente nel modo più
spontaneo possibile, senza forzature» per ridare il senso più autentico al
recupero del "tempo grande".
Tre personaggi e le loro vicende che si intrecciano convergendo verso lo stesso
esito. Così il cerchio si chiude intorno a uno dei temi che da sempre sta più a
cuore a Carmine Abate. Ma nel romanzo c'è molto di più. Ci sono storie d'amore
intessute di passione e di eros libero e gioioso; ci sono risentimenti e
desideri di vendette trasmessi di generazione in generazione; ci sono atmosfere
incantate e drammi individuali e collettivi e c'è, soprattutto una scrittura
magnetica che cattura il lettore facendogli vivere emozioni fortissime. Con «Il
mosaico del tempo grande» la simbiosi fra impegno e affabulazione che è uno dei
cardini della poetica di Abate, tocca un punto molto alto.