L'Adige, 25.03.2006

ABATE, questo è capolavoro
“Il mosaico del tempo grande” per Mondadori:
pura gioia narrativa, intreccio ricco e sapienza
di Giuseppe Colangelo

  Ormai lo si può affermare con tranquilla sicurezza: Carmine Abate è lo scrittore che più di tutti, negli ultimi quindici anni, ha contribuito, con la sua vitalità creativa ad alimentare di nuove energie la narrativa italiana. Dalla sua penna, in questo torno di tempo, sono usciti quattro romanzi di grande valore («Il ballo tondo», 1991; «La moto di Scanderbeg», 1999; «Tra due mari», 2002; «La festa del ritorno», 2004) e un volume di racconti («Il muro dei muri», 1993), tra i quali alcuni da antologia.
Egli ha affrontato temi di forte portata sociale (l'emigrazione, l'impatto della modernità sul mondo contadino, l'incontro-scontro tra culture diverse) innestandoli di volta in volta in vicende di ampio respiro e innalzandoli a un livello di resa artistica quasi mai raggiunto prima. Quando poi si è immerso nel passato, più lontano (storico o mitico che fosse), ne ha sempre ricavato storie narrativamente avvincenti, saldamente ancorate nella memoria collettiva e perciò capaci di offrirsi come strumento di riflessione sul presente. Abate, insomma, ha suonato la corda civile laddove altri (spesso incoraggiati dagli editori) cannibaleggiavano o si esaltavano nel minimalismo e altri ancora si crogiolavano nel calligrafismo o esibivano architetture costruite con consumata perizia, dietro cui però, in molti casi, non c'era nulla.
Già questo non è un merito da poco, e tuttavia ciò che davvero distingue Abate e ne fa un narratore quasi unico nell'attuale panorama letterario di casa nostra, è soprattutto la sua smagliante abilità affabulatoria. Una qualità nativa che lo guida, pressoché infallibilmente, a collocare episodi, personaggi e ambienti dentro intrecci sempre ricchi di sorprese e di stimoli e che trova il suo degno compimento in un linguaggio di rara potenza espressiva.
Un'ulteriore conferma di tali chiarissimi pregi - se mai ce ne fosse ancora bisogno - ci viene dal nuovo libro dello scrittore calabrese, «Il mosaico del tempo grande» (Mondadori), approdato da pochi giorni sui banchi delle librerie. È un romanzo che sorprende, come e forse anche più dei precedenti. Per la varietà della tessitura, per lo spessore dei contenuti e - last, but not least - per l'originalità dello stile.
La trama è così densa e coinvolgente da non lasciarsi facilmente ridurre a sintesi lineare, se non a prezzo di semplificazioni banalizzanti. Dirò allora (anche per non togliere al lettore il gusto di scoprirne gli snodi più emozionanti) solo che questo libro aggiunge nuove, fondamentali, tessere al mosaico narrativo inaugurato, tre lustri fa, con «Il ballo tondo». Romanzo dopo romanzo, affidandosi ora alla verità storica ora alla libertà fantastica, Abate ha raccontato i momenti più significativi delle vicissitudini toccate agli arbëreshë , la minoranza etnica di cui è oggi uno dei figli più illustri: l'abbandono dell'Albania a seguito dell'invasione turca (XV sec.), il loro arrivo e insediamento nell'Italia del sud, l'emigrazione transoceanica alla fine dell'Ottocento, la partecipazione alle lotte contadine nel secondo dopoguerra e, di nuovo, l'emigrazione in Europa e nel nord del nostro paese tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Più volte poi, in modo sempre creativamente efficace, ha rappresentato la gentile tenacia con cui la gente arbëreshe si è sforzata di mantenere vivi i tratti profondi della propria identità culturale. Qui, ne «Il mosaico del tempo» grande, quello sforzo diventa impegno consapevole, o meglio, obbiettivo irrinunciabile che informa i destini dei tre personaggi principali. A cominciare dal più inquieto di essi, Antonio Damis che, incurante dello scetticismo beffardo di molti suoi compaesani, va a cercare in Albania - siamo negli ultimi anni della dittatura di Enver Hoxha - il luogo dal quale partirono forzatamente gli antenati, al tempo in cui tutto ebbe inizio per gli arbëreshë , il "tempo grande".
Ricostruire il percorso dei padri non è, per Antonio Damis, il gesto nostalgico di uno che vive di fisime, bensì un atto di conoscenza nonché di riappropriazione di un patrimonio di storie, di tradizioni di miti capaci di alimentare quella memoria comunitaria che egli sente come l'unica possibile base per la sopravvivenza dell'identità del suo popolo.
Lo stesso sentire anima anche gli altri due protagonisti del romanzo, Michele e Ardian Damisa. Il primo è un giovane fresco di laurea che pur vivendo pienamente nell'oggi (la vicenda principale del libro si svolge durante un'estate d'inizio Duemila, il resto è frutto di appassionanti flashback ) ha forte coscienza del valore creativo del passato. Di qui la sua insaziabile curiosità per tutte le storie della sua gente: da quelle remote della fondazione di Hora, (è il nome emblematico del villaggio calabrese in cui è ambientata gran parte delle narrazioni di Abate) a quelle più recenti. Quanto al secondo, egli è un albanese scampato agli estremi colpi di coda del regime di Hoxha e arrivato nel 1990 ad Hora, dove si è perfettamente integrato nella comunità locale. Mosaicista di prim'ordine, ha aperto un laboratorio artistico ed è conosciuto da tutti con il soprannome di Gojàri, cioè Boccadoro, perché «ha mille storie nella bocca, tutte vere e preziose come l'oro». Ma Gojàri, come attesta il suo cognome (Damisa), discende dallo stesso ceppo dei fondatori di Hora e perciò le sue mille storie sono le mille storie degli arbëreshë .
C'è l'incontro e l'amicizia di Gojàri e Antonio Damis all'origine della passione conoscitiva di quest'ultimo. È Gojàri che sazia la curiosità di Michele raccontandogli le storie di cui è impagabile depositario e facendolo assistere, giorno dopo giorno, alla creazione del suo capolavoro, il mosaico che ha per soggetto il "tempo grande". È Gojàri, infine, che prospetta, facendone la sua poetica, la necessità di «collegare il passato al presente nel modo più spontaneo possibile, senza forzature» per ridare il senso più autentico al recupero del "tempo grande".
Tre personaggi e le loro vicende che si intrecciano convergendo verso lo stesso esito. Così il cerchio si chiude intorno a uno dei temi che da sempre sta più a cuore a Carmine Abate. Ma nel romanzo c'è molto di più. Ci sono storie d'amore intessute di passione e di eros libero e gioioso; ci sono risentimenti e desideri di vendette trasmessi di generazione in generazione; ci sono atmosfere incantate e drammi individuali e collettivi e c'è, soprattutto una scrittura magnetica che cattura il lettore facendogli vivere emozioni fortissime. Con «Il mosaico del tempo grande» la simbiosi fra impegno e affabulazione che è uno dei cardini della poetica di Abate, tocca un punto molto alto.