Il mosaico del tempo grande
di Raffaele Taddeo
Gli ingredienti narrativi di Carmine Abate in questo
nuovo romanzo in parte sono simili a quelli dei testi precedenti, in parte si
rinnovano.
Questa volta la vicenda non è vista con occhi di bambino-ragazzo, ma di un
giovane che ha appena concluso il suo corso di studi. Così pure la tematica
dell’espatrio per lavoro e del ritorno, pur se importante, non è più così
centrale.
Fanno invece da cornice robusta, perché costituiscono ritmo e ossatura
narrativa, la lingua e il ricordo mitico, elementi già fortemente presenti nelle
narrazioni precedenti. Anche questa volta le memorie mitiche vengono proposte a
fasi successive intrecciate alla storia principale del romanzo.
Ricordo mitico e narrazione si intersecano quasi una debba giustificare l’altra.
Fra le novità del romanzo vi è anche una sorta di giallo che si disvela alla
fine connotando la narrazione di drammaticità senza lasciare spazio a soluzioni
riconciliatorie.
Il titolo dato al romanzo pone in risalto i due tempi, il contemporaneo e quello
mitico-storico, chiamato grande. E’ un tempo contemporaneo perché fa parte della
vicenda narrativa la costruzione di un grande mosaico la cui raffigurazione
riguarda il tempo passato, grande.
Michele (Michè), si è appena laureato e vuole festeggiare la conquista del
titolo di studio perché in un paese piccolo un avvenimento così non può che
essere socializzato, ma è anche l’ultimo momento prima di incupirsi nella
ricerca del lavoro e nella responsabilità del farsi una famiglia.
Arriva al paese Laura, figlia di Antonio che anni prima era quasi fuggito perché
minacciato di morte e perché s’era invaghito di una ballerina albanese, così
come gli abitanti di Hora che alla fine del 1400 avevano costruito la loro città
dopo essere aver lasciato la terra d’Albania per non essere sottomessi dai
turchi. Antonio era un discendente del primitivo prete ortodosso che aveva
incitato i fuggitivi a stabilirsi in Calabria e costruire una chiesa per rendere
definitiva la scelta migrante.
Michele si innamora di Laura e tutto il romanzo ruota attorno allo sviluppo dei
sentimenti dei due giovani. Sono intense le pagine che descrivono il loro fuoco
d’amore e il loro desiderio carnale.
Anche in questo romanzo Carmine Abate usa moltissimo frasi della lingua arbëresh
e così facendo materializza la storia in uomini, cultura, comportamenti
abituali. Combina la storia di Michele, del suo innamoramento, con la storia
d’emigrazione di un paese, con la mitica costruzione di una chiesa, con l’enigma
di un tesoro scomparso e da ritrovare.
Se il protagonista principale è Michele, con la sua storia si intrecciano tante
altre microstorie che fanno del romanzo un vero mosaico narrativo in una
struttura temporale prospettica ove il presente richiama il passato e il passato
rimanda al presente.
In questo scenario ricompaiono valori già emersi nei precedenti romanzi: la
famiglia, la fedeltà alla comunità, la solidarietà, l’ospitalità. Tutte le
vicende del romanzo possono essere lette come manifestazione di coerenza con
questi valori o come loro tradimento alla ricerca di una modernità che
sostanzialmente non trascuri quei valori ma li reimpianti su basi nuove o su
nuovi modelli.
La dialettica fra modernità e ancoraggio al passato diventa quindi la chiave di
lettura di questa nuova fatica di Carmine Abate. Tutti i personaggi giovani
denotano caratteri di modernità e contemporaneità: l’importanza assegnata alla
cultura, la primarietà data ai sentimenti piuttosto che alla tradizione, libertà
di azione e padroneggiamento del tempo con scansione e ritmi non tradizionali.
Ma accanto a questo tutti i personaggi giovanili si sentono ancorati alle radici
della comunità e non le rinnegano. La contemporaneità trova il suo fondamento
nella fedeltà valori comunitari, come la comunità trova la sua ragione di
esistenza e di stabilità nell’ancoraggio alle origini storiche.
Il romanzo viene giocato su questi rimandi o giochi prospettici che rendono la
lettura avvincente e partecipata.