Il nuovo romanzo di Carmine Abate
Il tempo che non passa narrato con un mosaico
di Domenico Nunnari
Un romanzo costruito con la tecnica del mosaico, tante
e forti vicende umane e delicate che si intrecciano come tasselli colorati, per
comporre infine un'unica grande storia che ha sullo sfondo l'avventura degli
arbėreshė, gli italo-albanesi che fanno parte di una comunitą che da secoli č
dentro la storia della Calabria. Carmine Abate, che si conferma una realtą
luminosa della narrativa italiana, sceglie, nella sua ultima fatica letteraria,
di calarsi nella storia di eroismi, di passioni e di dolorose migrazioni del suo
popolo. Con il romanzo, «Il mosaico del tempo grande» (editore Mondadori, pagine
233, euro 16,50), discende nel grembo della madre patria, quasi a voler
restituire identitą a un popolo arrivato in Calabria e in altre regioni
d'Italia, dopo la morte dell'eroe nazionale Scanderbeg. In quel periodo, a metą
del XV secolo, dopo la caduta di Croja e Scutari, ci fu la migrazione pił forte
e dolorosa, come pił tardi quando i turchi espugnarono la fortezza di Corone e
si impadronirono cosģ, di fatto, dell'Albania. Intorno alle antiche abbazie,
alle falde del Pollino, nella valle del Crati e nella Sila Greca, nacquero gli
insediamenti pił importanti, dove ancora oggi vivono i discendenti della
popolazione trascinata in quella triste diaspora. Abate mette l'amore al centro
della sua storia. Amori moderni e amori antichi, si uniscono in un racconto
corale che assume la dimensione del romanzo storico robusto, di consistenza.
Hora, l'immaginario paese fondato dagli arbėreshė, teatro dello svolgimento
della narrazione, č il luogo dell'arrivo e della partenza: la nuova patria,
amata, che ha accolto i profughi fuggiti dall'Albania, ma anche il luogo dove si
sogna di ripartire, per tornare alla Hora di lą dal mare, la terra madre da dove
si č venuti. Abate ha abituato i suoi lettori alle storie forti
dell'emigrazione, alle vicende di uomini che vivono lontano, in comunitą
immaginate e che costruiscono fuori, talvolta in solitudine, il futuro dei figli
e delle famiglie. «Tra due mari» e «La festa del ritorno», sono tra i libri pił
freschi della memoria dei suoi lettori. Storie a volte crudeli, linguaggio
forte, valori antichi, confronto tra generazioni, caratterizzano la narrativa di
Abate. Con il nuovo romanzo, lo scrittore di origine arbėreshė, scende in
profonditą, ha raccolto le storie che stanno dentro il cuore del popolo
italo-albanese e le ha volute fissare, perché durino per sempre. Come, appunto,
le tessere di un mosaico, perché i mosaici durano pił degli affreschi, pił dei
quadri e pił delle parole. E un mosaicista, Gojąri, č una delle voci narranti
del romanzo di Abate, in questo riappropriarsi delle radici, nell'intreccio tra
patria antica e patria nuova e riconosciuta. In fondo, «Il mosaico del tempo
grande», č un grande omaggio alla Calabria, terra di accoglienza, luogo di
sintesi di popoli e culture.
Abate ha avvertito l'urgenza narrativa di raccontare amori e sensualitą, gioie e
sofferenze, sullo sfondo di una modernitą che tende a livellare e omogeneizzare
valori e affetti. Ha voluto recuperare «il tempo grande», il tempo che resiste e
non passa. Un tempo salvifico. Abate parte da spunti biografici, come ammette
senza finzioni, e poi sviluppa la storia. Inizia dall'amore che sboccia tra un
giovane appena laureato e una ragazza giunta a Hora, sulle tracce dei suoi
antenati e poi intreccia il suo filo narrativo con amori del passato, passioni,
violazioni, nostalgie. Racconta l'Albania della memoria e le fughe che iniziano
con la caduta di Enver Hoxa, sui gommoni carichi di disperati. Piccole e grandi
storie compongono, come le tessere turchine e violacee del capolavoro che sta
realizzando il mosaicista Gojąri, il mosaico del tempo grande. Forti passioni
macchiate di sangue, tesori nascosti, e tra questi il pugnale d'oro dell'eroe di
Albania, l'odio e le emozioni dell'amore, sono i percorsi a volte indecifrabili
di un destino che sta dentro la storia di un popolo. Dą forza al romanzo, lo
scrittore di Carfizzi, reinventando una sua lingua, con tracce di arbėreshė e
lingua calabrese, che si mescolano e danno robustezza alla narrazione che a
volte assume la misteriositą del giallo in un intreccio con la leggenda del
popolo di Scanderbeg. Un popolo che lasciandosi alle spalle i segreti e le
nostalgie di un tempo riesce ad augurarsi «Tė priftė e mbara», buona fortuna».