Famiglia Cristiana, 28.02.2006 QUANTI SEGRETI, ODI E TESORI Nel nuovo romanzo di Carmine Abate, sentimenti individuali e storia collettiva si intrecciano e si confrontano, in un viaggio che da Hora, in Calabria, porta nell’Albania del Quattrocento. Il "mosaico" del titolo č quello che sta componendo Gojāri, personaggio centrale del romanzo, profugo dall’Albania comunista di Enver Hoxha e approdato a Hora, paese dell’Arbërėa, la terra degli albanesi d’Italia in cui Carmine Abate ambienta le proprie storie. Quanto al "tempo grande", si riferisce al contenuto del mosaico stesso, perché quello che Gojāri va raffigurando (e anche narrando a voce ai giovani di Hora) č la preistoria stessa del paese, risalente alla fine del Quattrocento, allorché – dopo la sconfitta di Scanderbeg nella sua lotta di liberazione dell’Albania dall’invasore turco – papās Damis decide di lasciare la sua terra insieme con alcuni fedeli imbarcandosi per le Calabrie, dove fonda appunto la nuova Hora, e impegnandosi a costruire quella chiesa che possa fungere da collante tra i profughi. E questo č l’ieri, il passato remoto del romanzo di Abate. Quanto all’altra componente, l’oggi, č rappresentato dall’Io narrante di Michele, laureato in lettere col sogno di insegnante in Trentino, e dall’arrivo in paese di Laura, bellissima figlia di Antonio Damis, di cui Michele s’innamora perdutamente. E proprio Antonio funge da ponte tra i due momenti: non solo perché č grazie a lui che Gojāri č approdato a Hora, ma perché attraverso i racconti di Gojāri e le chiacchiere del paese ne scaturisce quasi una sua leggenda: quella di un Antonio partito anni prima col doppio sogno di rivedere la vecchia Hora (in questo speculare al ritorno al luogo d’origine di Jani Tista, figlio di papās Damis, morto nella sua terra scorticato dai turchi), e di ritrovare la ballerina Drita, di cui s’č innamorato durante una tournée del gruppo folcloristico albanese. Un abbandono infarcito anche di molti odi, sospetti e tentati omicidi: non solo perché abbandona la fidanzata Rosalba, ma anche per il mistero sulla fine del tesoro portato secoli prima da papās Damis, tra cui il pugnale con impugnatura d’oro di Scanderbeg. Storie che s’incrociano e si rinviano l’un l’altra per via speculare; anche se non riescono, nonostante tutto, a fondersi componendo un mosaico armonico. Soprattutto perché storia e mito sono pių imposti dall’esterno, con qualche forzatura, che lievitati dall’interno di una storia principale. Ciō non toglie che il romanzo si legga comunque piacevolmente: con bei personaggi e uno stile sempre pių sicuro, poggiante sulla consueta lingua screziata di arbëresh (la lingua degli albanesi d’Italia). |