Il Domani, 15.04.2006
Il realismo e la
vivacitą narrativa su tematiche universali di Carmine Abate di
Serenella Mastroianni
Inconfondibile nel timbro e nell’originalitą del registro
linguistico, torna a farsi leggere Carmine Abate con Il mosaico del
tempo grande, Mondadori, 2006, un romanzo che sancisce la realizzata
maturitą dello scrittore e l’integrazione di un ciclo narrativo che
inizia col Ballo tondo e si snoda, arricchendosi di sempre nuova
linfa, attraverso i romanzi successivi. Ognuno dei quali, pur nella
sua intrinseca specificitą, č un tassello di un disegno o, meglio,
di un “mosaico” che sta a cuore allo scrittore, intento ad evocare e
a comunicare, con immediata efficacia, le sue origini arbėresh e il
destino di un popolo costretto alla diaspora, tenace nella tutela
della propria identitą eppure aperto ad una positiva
“contaminazione” con altre realtą sociali e culturali.
Il filo che lega i romanzi di Abate guida il lettore alla scoperta e
all’approfondimento di un universo che se pure si coagula
essenzialmente intorno ad Hora, nome fantasioso di un paese reale,
va certamente oltre. L’universalitą di certi temi, ribaditi nel
Mosaico, come la memoria, il paesaggio e i colori mediterranei,
l’amore nelle sue varie sfaccettature, l’emigrazione e i suoi
effetti, l’impegno civile che traspare ogni volta in cui, con
delicato realismo, Abate mette il dito su certe piaghe endemiche
della Calabria e di ogni Sud del mondo, la storia “del tempo grande”
e non solo, la patina di mistero che aleggia su certe situazioni
narrate, fanno di Abate uno degli scrittori pił interessanti e
vivaci della narrativa contemporanea. A ciņ si aggiunge la capacitą
di collegare sempre passato e presente e di coinvolgere il lettore
nella sua “letteratura emotiva, di potenza” come la definisce lo
stesso scrittore, che non si perde e non fa perdere mai il lettore
nei meandri di percorsi narrativi contorti, anche quando tratta di
eventi tutt’altro che scontati e di personaggi complicati.
La lingua stessa, impastata di parole arbėresh e di termini
dialettali calabresi, non impaccia la lettura, č sempre funzionale
al momento narrativo e dą un’impronta davvero personale ai romanzi
dello scrittore di Carfizzi.
Le sue storie conservano la freschezza di un “canto”, che ora si fa
lirico, ora elegiaco, ora epico senza mai perdere il senso della
misura. Abate č cantore di una “mitologia” antica e sempre nuova
nella trasmissione di valori, dolori, gioie affidati a personaggi
per lo pił umili, che s’impongono all’attenzione del lettore per la
dignitą con cui affrontano e raccontano la vita.
Ma non solo.
L’impressione che si ricava dall’esplorazione di questo mondo,
suggerita ancor di pił dalla sua ultima fatica letteraria oltre che
dal percorso esistenziale dell’autore, č che anche attraverso il
plurilinguismo lo scrittore auspichi la realizzazione di un’ umanitą
solidale e disponibile all’incontro e al dialogo con culture ed
esperienze “altre”, che si ricompongano come tessere sia pure
diverse di un unico “mosaico”.
L’ intreccio delle storie che si ritrovano nel Mosaico del tempo
grande, č affidato, anche questa volta, alla voce narrante di un
giovane del nostro tempo, Michele, che le vive, parte in prima
persona, parte attraverso il racconto del geniale mosaicista
albanese sbarcato in Calabria con altri profughi nel 1990, e noto in
paese come Gojąri ossia Boccadoro, che “aveva mille storie nella
bocca, tutte vere e preziose come l’oro. […] Le parole gli
sgorgavano come il canto di un uccello al mattino, necessarie e
melodiose, quasi senza pause”. Gojari č un personaggio suggestivo
quasi un alter-ego dello scrittore e rimanda alla figura di un aedo,
che consente a Michele di ricostruire innanzitutto l’origine di Hora
e il legame con i padri profughi dall’omonimo paese al di lą del
mare nostro, rendendo il giusto merito ad eroi-guida quali
Scanderbeg e Dhimitri Damis, il coraggioso papąs che prepara la fuga
dal paese messo in fiamme dai Turchi invasori, per approdare con i
suoi sulla collina che pił delle altre assomiglia alla loro collina
e fondare Hora, sempre vigile nel comunicare ai suoi la fiducia
necessaria per ricominciare. Qui costruiremo le nostre case.
Lavoreremo le terre qui attorno. Le renderemo fertili. Ci
rimboccheremo le maniche pił di come abbiamo fatto finora. Tutti.
Siamo tutti uguali. Non ci sono poveri e ricchi. La chiesa la
costruiremo insieme. Vivremo in pace tra di noi e con i nostri
vicini. […] Non ci siamo persi e non lo saremo fino a quando
conserveremo memoria di chi eravamo e da dove veniamo.
Tutto questo e altro ancora Gojąri affida alle tessere del grande
mosaico che sta realizzando nella sua bottega, con occhio attento
anche alle vicende degli Albanesi discendenti di quelli rimasti al
di lą del mare condizionati dalla dittatura di Hoxha, sino alla fuga
drammatica, sulle “carrette del mare”, dei profughi di oggi, che
approdano sulle nostre coste col miraggio di trovare in un “altrove”
pił dignitose condizioni di vita.
Tessera dopo tessera, Gojąri stava disseppellendo la nostra memoria,
ci costringeva a ricordare. Perché quelle storie, a ben vedere,
erano sepolte dentro di noi come preziosi tesori in fondo al mare e
la voce di Gojąri, le sue abili mani, le spingevano a galla.
Spettava a noi ignorarle o utilizzarle a piacimento nel presente,
‘il tempo delle illusioni e degli inganni ’ lo definiva Gojąri, ma
pur sempre il nostro tempo.
Su questo sfondo s’intessono individuali storie d’amore, intense
come quella tra Antonio Damis e Drita, a cui si lega il destino di
altri personaggi incisivamente scolpiti. E proprio intorno a queste
figure, Abate costruisce un “giallo” alla sua maniera, esplicitando,
questa volta in modo ampio e insistito, una predisposizione che
affiora in alcuni precedenti romanzi. Basti pensare all’aura di
mistero che avvolge “il ragazzino dagli occhi di calamita” della
Moto di Scanderbeg, cosģ come, nella Festa del ritorno, “l’uomo dai
capelli brizzolati” tiene sospeso il lettore fino alla decifrazione
del mistero.
Il Mosaico del tempo grande , sin dalle prime pagine, convoglia
l’attenzione sulla controversa figura di Antonio Damis e sull’enigma
che circonda l’unico della discendenza rimasto in paese, dopo che
gli altri erano partiti uno dietro l’altro, sebbene un desiderio
immediato, viscerale dovuto ad altre ragioni spingerą ad
allontanarsi da Hora pure lui che faceva l’impiegato comunale a Hora,
un bel posto di lavoro che molti gli invidiavano.
Il tema dell’emigrazione si riconferma, pur nelle sue varianti,
nella narrativa di Abate che ne ha fatto esperienza in prima
persona.
Anche Michele, da poco laureato, assieme agli amici immagina la sua
vita tra Hora e un altrove che presto ci avrebbe risucchiati. Chi a
Milano, chi in Germania, chi in Veneto. Con i nostri diplomi o
lauree nelle valigie, a rendere ancora pił amara la partenza,
soprattutto per le nostre famiglie.
E Michele va via da Hora felice malgrado tutto di unire la sua alla
vita di Laura, la ragazza “straniera” dagli occhi celesti come
l’acqua del mare a riva giunta in paese, in un giorno di calda
estate, con i suoi segreti e un bambino dallo sguardo triste. Vanno
via insieme, entrambi con un cumulo di memorie ma certi che il loro
destino č altrove.
Gojąri ci ha sorriso, si č avvicinato alla porta antiscasso e,
appena l’ha aperta, il mosaico si č acceso di luce come un grande
schermo. […]
“Tė priftė e mbara, buona fortuna!” ci ha augurato Gojąri. Poi
abbiamo proseguito svelti e silenziosi per la nostra strada.
Chi ha dimestichezza con la narrativa di Abate, ritrova
piacevolmente, nel Mosaico del tempo grande, luoghi e atmosfere
familiari, entro cui lo scrittore fa muovere agevolmente il lettore,
oltre che i personaggi di un “coro” armonico nella sua polifonia.
E mentre l’ombra di vento risucchia alcuni personaggi, i giovani
protagonisti dei suoi romanzi, bisognosi di certezze e di sogni , si
allontanano dal paese, in un viaggio che č – poi – la vita.
Hora, sulla collina del vento, tra due mari, č lģ ad attenderli e a
ripopolarsi nei temporanei ritorni e nella “festa del ritorno”.
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