E Abate incontrò i personaggi dei suoi
libri
di Simone Arminio
Parma. Se Carmine Abate ha scelto proprio il
“Festival della cultura calabrese” per presentare in anteprima nazionale “Il
mosaico del tempo grande” la sua ultima fatica letteraria, è perché quella
organizzata dall’Associazione dei Calabresi di Parma non è solo la
presentazione di un libro.
La serata nella città emiliana può essere infatti letta prima di tutto come
l’incontro ideale di Abate con gli stessi personaggi dei suoi romanzi,
quegli emigrati che, come Michele, uno dei protagonisti di questo libro,
appena pubblicato da Mondadori, abbandonano la propria terra in cerca di un
futuro, e che però vivono questa loro particolare condizione in chiave
propositiva, come una crescita culturale e, soprattutto, senza dimenticare
chi sono, da dove vengono, e per quali ragioni sono dovuti partire.
A suggello poi della particolarità di questo incontro, Antonio Abbruzzino,
presidente regionale dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani,
cucinerà per i presenti – oltre un centinaio di persone - una selezione e
rielaborazione dei tanti piatti descritti nei libri di Abate, per celebrare
la simbiosi fra letteratura e gastronomia, e l’importanza che quest’ultima
riveste proprio nella memoria dei calabresi che vivono lontano dalla propria
regione.
Prima della presentazione del romanzo di Abate, la scena del Festival era
stata occupata invece da un dibattito-intervista sulle lotte agrarie e i
fatti di Melissa del 1949, in cui tre contadini vennero uccisi nel tentativo
di strappare al latifondismo un terreno incolto, ovvero l’ultimo tentativo
di scongiurare la loro emigrazione per fame.
“La disperazione, ed insieme la risolutezza dei contadini di Melissa” dirà
lo scrittore “è in fondo la stessa che dimostrano tutti i protagonisti dei
miei libri”: profughi, emigrati, gente di terra. Gente disperata,
naturalmente, che però, continua Abate “decide di prendere la vita di petto
e lotta per il proprio destino senza aspettare che il cambiamento arrivi
dall’alto”.
Qualche minuto prima, lo scrittore Domenico Cacopardo aveva introdotto Abate
descrivendolo soprattutto come uno scrittore del viaggio. Come il viaggio
degli emigrati che partivano dalla Calabria, e che partono tutt’ora (buona
parte della platea ne è testimone diretta), in cerca di lavoro, e della
ricchezza intesa come cessazione della fame. O come il viaggio degli
albanesi arrivati in Italia cinque secoli fa, per fondare i paesi delle
comunità Arbrëshe: una specie di novelli Ulisse, alla ricerca della libertà.
Questi personaggi storici, di cui poco e niente si sa, tranne del fatto che
qui sono venuti, ne “Il mosaico del tempo grande” incrociano magicamente il
loro destino con quello degli albanesi, che sul finire del novecento hanno
preso il mare per raggiungere l’Italia ed incontrarsi poi casualmente con i
discendenti dei propri antenati: ciò che ne viene fuori, nella fantasia
dello scrittore, è un intreccio di tante storie, dense di dolore, di
scoperte, ma soprattutto di amori che sono alla base di questo suo nuovo
romanzo, e che solo la lettura potrà svelare.
“Lo stesso incontro” rivela Abate ”noi lo vivemmo sul serio a Carfizzi,
quando per la prima volta nell’84 conoscemmo gli albanesi, quelli veri,
appartenenti ad un gruppo folkloristico itinerante. “Prima di allora”
continua l’autore “gli albanesi eravamo noi, e solo in seguito a quell’incontro
ci scoprimmo invece Arbrëshe”.
Razza creola, frutto di un miscuglio genetico e culturale fra albanesi e
calabresi, proprio come la lingua che in questo romanzo, come in tutti gli
altri, rappresenta il tratto distintivo di Abate.
Guido Conti, scrittore e giornalista della Gazzetta di Parma, oltre suo
amico di vecchia data, accomuna quindi Abate a quegli autori che, come
Silvana Grasso o come taluni autori bolognesi, sono in grado di “affondare
la penna nella terra”, attraverso un linguaggio caratteristico che “riforma
e restituisce l’identità” linguistica e culturale ad un paese come l’Italia,
in cui - ribatte Cacopardo - “l’unica identità nazionale è rappresentata da
una lingua che però non è unica, ma profondamente articolata nel
territorio”. Quindi densa di anime ed identità differenti. Come un grande
mosaico, appunto.