Carmine Abate continua a scandagliare nella sua identità.
Ma il suo sguardo va oltre, nelle vicende di un’intera comunità
Storia di un italiano che sogna l'Albania
di Giuseppe Bonura
Con Il mosaico del tempo grande Carmine Abate
continua a scavare nella sua identità. L'Italia è da sempre un paese multietnico
e andare contro la storia non solo è inutile ma dannoso. Le invasioni barbariche
prima e le guerre dinastiche dopo hanno fatto affluire nella nostra penisola
miriadi di genti e di culture. Si sono mescolate con gli indigeni in un
intreccio variopinto e creativo. Greci, arabi, africani del Nord, balcanici,
ispani, inglesi, etc. hanno percorso l'Italia in lungo e in largo lasciando
tracce visibili del loro genio originario. Chi siano gli autentici italiani, Dio
solo lo sa. Per esempio in Calabria c'è un paese albanese. Sì, albanese. Ma
questi albanesi non sono di recente immigrazione, bensì risalgono a secoli
addietro quando a causa di eventi tragici si sparpagliarono per il mondo
fuggendo dalla nazione albanese. Ma i cromosomi conservano l'impronta della loro
terra.
Ci è difficile, noi che siamo nati in una regione adriatica centrale, capire a
fondo la psicologia dei calabresi albanesi. Carmine Abate si è dato appunto,
come tema precipuo del suo narrare, il compito di spiegare ai profani il mistero
di una cultura incredibilmente minoritaria che si fonda con la cultura locale.
"Spiegare" non è il verbo giusto, poiché Abate racconta soltanto, ma dal suo
racconto emerge la peculiarità di un mondo assolutamente originale. Anche negli
altri suoi romanzi è sempre presente l'Albania della Calabria, nel senso che i
suoi abitanti hanno nella fantasia quotidiana il "mosaico" delle vicende dei
loro avi. Tra questi spicca l'eroe Scanderbeg, il cui museo in Albania ci capitò
di visitare in un memorabile incontro con gli scrittori albanesi. (E tra
parentesi, vedemmo gli orribili edifici che il fascismo, nel delirio della sua
occupazione, costruì a Tirana, nel vano tentativo di umiliare il popolo).
Dicevamo che Abate, con questo suo nuovo romanzo, continua a scandagliare nella
sua identità. In effetti, il suo sguardo va ben oltre, cioè nelle pieghe di una
intera comunità.
La narrazione prende l'avvio da Antonio Damis che, tutto azzimato, sale su un
camion diretto a Crotone. Va a vedere una partita di calcio di serie B? No, ha
intenzione di farsi fare una bella foto per il passaporto. Nel suo intimo spera
di partire per l'Albania. (Ecco un bel paradosso: un italiano che sogna di
emigrare oltre l'Adriatico). Ma il camion subisce un subdolo attentato: i freni
non tengono e gli occupanti finiscono tra gli sterpi in mezzo a un mare di uova
(che bevono con gusto, dato lo scampato pericolo). Il fatto è che qualcuno ha
giurato di fare la pelle a Damis.
Ma questo è un falso inizio. In realtà il romanzo si dispone a mosaico. Cioè in
tanti racconti che alla fine assumono la forma, anzi l'allegoria della
nostalgia, o meglio di qualcosa che manca. Il romanzo è anche una bella storia
d'amore tra un discendente di Damis e Laura. E in mezzo c'è il ricordo del
passato, i gommoni del presente, e le avventure di una comunità che continua a
sognare l'età dell'oro.