La Stampa
Giovedì 6
maggio 1999
Carmine Abate
Quell’eroe
albanese così amato dalle donne
di Sergio Penti
La nostalgia è il passaporto di
sopravvivenza dell'esule, o di chi percorre la vita cercando un'identità
reale al di là delle aspre contraddizioni etniche. Il popolo albanese, il più
smarrito gregge umano d'Europa - accumula e disperde queste nostalgie, ma
talvolta riesce a lanciare un segnale di richiamo alla nostra infastidita
indifferenza.
C'è riuscita Elvira Dones con il suo bel romanzo autobiografico senza
bagagli, edito dalla Besa, dove la scelta della fuga da una patria senza
futuro diventa incombenza di doversi rimpiangere per sempre, pur trovando
nuove certezze tra amore e ricordo documentato. Chi riesce adesso.- con
movenze narrative liriche e personali e da un orizzonte di partenza diverso
Carmine Abate, che all'anagrafe risulta scrittore italiano, Am nell'anima
"arabesh". Il suo è il felice racconto di un'educazione alla vita
che passa attraverso il ricordo e la convinzione crescente di non essere di
casa in nessun luogo, se non nel ricordo stesso.
La moto è una vecchia e ancor luccicante Guzzi Dondolino, in sella alla
quale Scanderbeg; il mitico padre del narratore Giovanni Alessi, rombava tra
le campagne ostili di Hora, in una Calabria degli anni Cinquanta in cui le
lotte dei diseredati per coltivare un lembo di terra divennero rivolta
sociale. Ma Scanderbeg era anche il condottiero senza paura che nel Tempo
Grande aveva difeso col suo popolo l'"Arberia" dalle orde dei
turchi.
È invece la moto il cavallo di battaglia di questo rivoltoso rosso, amato
dalle folle e dalle donne, che come tutti gli eroi si perde morendo per una
banale scommessa da bulli di paese. Am ail mito rimane vivo e caratterizzerà
le scelte - o le mancate scelte - del figlio Giovanni, che seguiamo nella sua
complessa, viscerale e contraddittoria vicenda d'amore con la bella Claudia
Camarda, che alle su origine di Hora ha detto addio e lavora come giornalista
di Radio Italia a Colonia.
La vita di Giovanni è stata un andirivieni tra luoghi diversi e occupazioni
di fortuna, fino a quando non raggiunge Claudia in Germania tentando la
strada delle certezze adulte. Ma il passato bussa forte, il confronto con l
figura paterna e con una realtà ostile rendono quasi inutile ogni sforzo di
rinascita. E poi c'è il mistero del ragazzo con gli occhi di calamita -
Stefano Santori - che in un giorno di ventosa adolescenza guardando la nuca
di Giovanni, entrambi in sella alla Guzzi di Scanderbeg, gli disse «morirai
a trentasei anni».
Le lettere di Stefano, dopo secoli di silenzio, raggiungono Giovanni a
Colonia, ma il rifiuto di incontrare l'amico "veggente" è come un
antidoto alla propria inettitudine, al fatto di non aver mai trovato una
strada un indirizzo. Tornato a Hora, per il funerale della madre, Giovanni
sparisce cavalcando la moto di Scanderbeg, come una nuova leggenda entrando
anch'egli, a suo modo, a far parte del mito.
L'educazione alla sopravvivenza di Giovanni è scandita con eleganza,
alternata ai flash relativi a Scanderbeg, alle lotte d'amore con Claudia -
sempre vicina e mai raggiunta - ai remoti tempi di guerra della gloriosa
Arberìa.
Il risultato è un poetico intreccio di irrequietudini impossibili a
placarsi, poiché chi nasce in un limbo etnico sembra destinato a portarsene
appresso ovunque le afflizioni. Più che un richiamo d'aiuto collettivo, il
romanzo è un omaggio alla ricerca di se stessi, anche se ci pare che,
nell'appartata solitudine descritta d Abate, non ci sia molto spazio per le
nostre - rare e superficiali - curiosità estranee.
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