L'Adige
febbraio 2002
Carmine Abate,
nostalgia e ricordo
Da oggi in libreria il nuovo libro:
«Tra due mari», per Mondadori
Carmine
Abate
|
di
GIGI ZOPPELLO
Era molto atteso, questo nuovo libro di Carmine Abate, che da oggi è in
libreria. «Tra due mari», edito per Mondadori, segna per lo scrittore
calabrese, trentino, tedesco e arberesh un nuovo debutto. Dopo i precedenti
lavori con Fazi, ora l´approdo alla più grande casa editrice italiana. Con
tutto quel che vuol dire in termini di distribuzione, promozione, in una
parola notorietà.
Anche questa volta, lo sfondo del romanzo è una Calabria assolata e aspra,
messa come dice il titolo «a cavallo tra due mari». La vicenda è giocata
su diversi piani narrativi: Giorgio Bellusci ha un sogno nella vita:
ricostruire dalle fondamenta “Il fondaco del fico”, un´antica locanda
appartenuta per generazioni alla sua famiglia. Una famiglia cosmopolita,
perché sua figlia ha sposato un bancario tedesco, figlio di un famoso
fotografo che da giovane, negli anni Cinquanta, fece il proprio classico
viaggio di formazione in Calabria. Il narratore della storia è Florian,
nipote di Giorgio Bellusci, un ragazzo mezzo tedesco e mezzo calabrese. E
Florian racconta di come, quando la ‘ndrangheta chiede il pizzo sull´albergo
in costruzione, Giorgio Bellusci reagisce duramente…
C´è, in questa vicenda, molto di Abate stesso: calabrese di minoranza
albanese, lunghi anni in Germania ad Amburgo, il primo libro pubblicato in
tedesco, e poi la sistemazione in Trentino. La scrittura è semplicemente
affascinante: secca, ma fluida, scandita da una musica che accompagna le
vicende. E il libro ha tutte le carte in regola per far conoscere, ancor di
più, in Italia e all´estero Carmine Abate. «Tra due mari»,197 pagine, è
edito nella collana «Narratori italiani e stranieri», e costerà 14,60
euro. Per concessione dell´editore, ecco le prime pagine.di CARMINE ABATE
Nella piazza o nei bar sentivo levarsi il nome e cognome di lui come una
folata di vento: «Giorgio Bellusci!». Ritrovavo il suo sguardo sgherroso.
Il calore delle sue mani enormi. E soprattutto il mio affetto per lui, perché
un uomo come Giorgio Bellusci puoi dimenticarlo quanto vuoi, ma alla fine ti
rinasce prepotente più di prima. «Ben arrivato, Florian» mi diceva dandomi
un bacio sulla fronte. E di nuovo spariva.
Oltre il Fondaco del Fico, in direzione del mare, non si vedono altro che
colline argillose, boschi di lecci e burroni imbottiti di rovi. Tutt´intorno
montagnole grinzose e secche, simili a sterco di vacca depositato qua e là.
La strada che sale al paese di mia madre pareva massacrata da un
bombardamento aereo, buche profonde disseminate a zig zag lungo una
serpentina zeppa di crepe. La nostra Volvo station wagon arrancava in salita,
nell´afa. Mio padre guidava, ansioso, e sbuffava, forse soffriva più di me,
però non diceva niente.
Avevo resistito da Amburgo fino all´uscita dell´autostrada, per 2.581
chilometri di noia e sofferenza, come un´ape in un bicchiere capovolto, a
inseguire carovane di macchine sempre più veloci della nostra e poi l´interminabile
fila di oleandri in fiore; ma quel tratto finale era il più vomitevole, nel
senso che a volte mi faceva vomitare.
Stavo arrivando per le vacanze lunghe e già volevo tornare indietro.
Il paese è appoggiato come un ferro di cavallo su una collina tra due mari,
lo Ionio e il Tirreno. Ha un bel nome, Roccalba, ma io lo chiamavo con
disprezzo Roccalda, per via della cappa afosa che lo schiaccia tutta l´estate
senza pietà.
Mia madre annunciava ogni due minuti: «Klaus, Florian, wir sind gleich da!»,
e c´indicava un cardo ancora fiorito o i fichi nivurelli, le susine verdelle
o le melagrane già spaccate dal caldo, con l´entusiasmo di chi sta entrando
in paradiso. Mio padre guardava in avanti come un naufrago, con la speranza
di avvistare al più presto il cartello arrugginito col nome Roccalba.
Riprendeva a sorridere solo quando poggiava il primo piede in paese e non la
smetteva più, col suo sorriso artificiale, per tutta la vacanza. La mamma,
le sì, era felice davvero. Rivedeva i genitori, la sorella Elsa e la nipote
Teresa, gli amici d´infanzia, i vicoli, le zimbe con i maialini, le cicale
sugli ulivi, le timpe dietro la chiesa, i garofani screziati sui balconi, le
rondini nel cielo grande; «hai mai visto un cielo così grande, Florian?»
mi chiedeva pur sapendo che non le avrei risposto, «la notte si vedono tutte
le stelle del firmamento, giù giù fino al mare, all´infinito». E
finalmente rivedeva il Fondaco del Fico. L´accompagnava il padre, Giorgio
Bellusci, nella tarda mattinata: loro due, soli nella calura, in mezzo alla
campagna, a parlare con gusto dopo un anno, davanti ai resti dell´antica
locanda di famiglia, un tempo la più famosa della Calabria, si svantava lei.
«Si, può darsi, ma oggi è una sputazzata nell´occhio, un muro di pietre
in parte abbrustolite che fa brutta mostra di sè tra rovereti e cespugli di
fico selvatico» aveva provato a smontarla una sera zio Bruno, il marito di
zia Elsa, senza un briciolo di tatto. In un lampo la mamma era diventata
furiosa e lo aveva colpito con una mitragliata di «ignorante deficiente
tamarro, che ne sai tu della storia del nostro Fondaco? Tu sai solo mangiare».
Stavamo finendo di cenare. Giorgio Bellusci invece non si era scomposto, anzi
aveva sorriso divertito. Poi, con uno sputo carico di semi d´anguria, aveva
puntato l´occhio destro di zio Bruno e lo aveva centrato in pieno. «Ecco
che cos´è una sputazzata nell´occhio» aveva sentenziato infine. Tutti ci
eravamo messi a ridere, pure zia Elsa e la figlia Teresa, tutti, tranne zio
Bruno, che aveva fissato il suocero con un occhio torvo e l´altro imbrattato
di saliva e semi d´anguria. Ma tutti avevamo capito che i resti del Fondaco
del Fico andavano rispettati, come quelli di un morto della famiglia. E che
presto Giorgio Bellusci li avrebbe fatti rinascere.
Sì, soprattutto questo sapevo di lui: che amava il Fondaco del Fico come si
ama un familiare, forse un po´ di più. E che era il padre di mia madre, cioè
mio nonno. Un uomo per molti versi premuroso che purtroppo non ero mai stati
capace di chiamare nonno, forse perché l´avevo visto un mese all´anno e
per giunta quasi soltanto ai pasti. Da quando era sparito senza nemmeno
salutarmi, dentro mi bruciava un´indifferenza rancorosa e mi dicevo che a me
di lui non importava niente perché a lui di me importava meno di niente. Ma
che si facesse vivo con una lettera o una cartolina o una telefonata. Pareva
inghiottito per sempre dal mare d´afa che aveva inondato Roccalba l´estate
del suo arresto.
Per fortuna, proprio mentre la distanza tra noi stava diventando incolmabile,
seppi del suo viaggio giovanile. All´inizio dalla mamma, poi dalla nonna,
infine da Hans Heumann e dalle sue foto. Ero un ragazzo; la prima volta
ascoltai con apprensione. A tratti sudai. «Il paese puzzava d´estate»
cominciò a raccontare la mamma e mi sembrò di ascoltare l´eco di un canto
già sentito chissà quando e che ancora oggi mi insegue ovunque, come un
coro di cicale invisibili o di rondini furibonde. Di colpo vidi Giorgio
Bellusci sotto una luce più chiara, distinsi le sue tracce sulla polvere e
mi aggrappai a lui con tutte le mie forze.
L´autore
Carmine Abate è un arberesh della comunità di Carfizzi, in Calabria,
appartiene cioè alla famosa isola linguistica albanese che esiste da secoli
nel nostro Paese. Emigrando da giovane in Germania ha reso ancor più
variegato il mosaico della propria formazione. Vive a Trento, dove insegna. I
suoi due romanzi La moto di Scandeberg e Il ballo tondo sono tradotti in
Germania e Francia dai prestigiosi Piper e Seuil, e presto usciranno in
Portogallo, Olanda e Grecia.
I suoi libri
Romanzi, ricerche e racconti
Emigranti,
anni ´60
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Come narratore Abate ha
esordito nel 1984 in Germania con "Den Koffer und weg!", una
raccolta di racconti incentrati sul tema dell´emigrazione. Sempre sull´emigrazione
ha svolto, assieme alla sociologa Meike Behrmann, una ricerca
socioantropologica che è stata pubblicata in Germania con il titolo "Die
Germanesi" e in Italia "I Germanesi. Storia e vita di una comunità
calabrese e dei suoi emigranti". Nel 1987 ha curato un´antologia di
testi letterari di emigranti italiani in Germania ("In questa terra
altrove"). Nel 1991 è uscito il suo primo romanzo "Il ballo
tondo", pubblicato anche in Germania, in Albania e in Kosovo. Nel 1993
ha dato alle stampe un volume di racconti intitolato "Il muro dei muri.
Storie di ordinario razzismo" e nel 1995 "Terre di andata",
una silloge poetica. Poi, con Fazi Editore, il suo secondo romanzo, "La
moto di Scanderbeg".
Il suo futuro
Un successo davvero mondiale
Carmine Abate
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«La
scrittura di Carmine Abate è fra le più interessanti del panorama
letterario italiano». Parola dei curatori del Salone del Libro di Parigi:
quest´anno la fiera d´Oltralpe è dedicata al nostro Paese, e Carmine Abate
viene inserito (dal sito del Salone) fra i trenta autori da non perdere di
vista. Appena uscito in Francia, «Il ballo tondo» ha recensioni
entusiastiche mentre questo nuovo «Tra due mari» è già stato acquistato
in bozze dall´editore francese Seouille. Per Abate, un successo che si
estende a macchia d´olio: i libri precedenti sono in uscita in Olanda,
Belgio, Albania, Kosovo. E per la novità Mondadori, fioccano le prenotazioni
per traduzioni.
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