Il Sole-24 Ore
Domenica 2 gennaio 2000



Quel che resta di un anno di letture


di Ermanno Paccagnini



Tecnicamente li chiamano bilanci d’annata. In realtà, è davvero difficile considerarli tali, perché è tanto grande la massa di libri che si riversa sui tuoi tavoli da rendere materialmente impossibile non dico leggerli, ma anche sfogliarli tutti... Quanto al possibile accrescimento del tuo patrimonio attraverso la lettura di altrui segnalazioni, non è che risulti poi di molto aiuto, e per le più svariate e comprensibili ragioni. Insomma, quando ti volgi prospetticamente all’annata editoriale, ti rendi conto che finirai poi per considerare solo quella minima parte che hai letto, e che le riflessioni riguarderanno semmai il tuo grado di fortuna nell’incappare piuttosto in libri buoni che nei mediocri o brutti.
Riflessioni peraltro non esenti da sensi di colpa, perché ti accorgi di altri testi che avresti voluto leggere, di qualche piccolo editore che avresti potuto sostenere (ma se i suoi libri non ti fossero piaciuti, dove sarebbe andato a finire il sostegno?), di taluni autori che non hanno osato considerare perché, stroncati o deludenti in più d’una occasione (i nomi? Brizzi, Pazzi, Fusini), qualora lo fossero stati ancora una volta non avrebbe avuto senso insistere in un giudizio (come m’è accaduto con Capriolo) che potrebbe istallare in qualcuno dei più incazzosi tra gli iperautoestimatori qualche autoescusante e autogiustificante sindrome da “mania di persecuzione” o addirittura (roba da ricorso alla S.Vincenzo) l’assai poco autocritica convinzione che “tu ce l’abbia con lui”: libero quello ovviamente, in tal caso, di consolarsi da sé con simili minchionerie, visto che non son mancati su queste pagine autori prima stroncati e successivamente sostenuti nel caso di opere più valide (due nomi: Doninelli e Mordiglia) o viceversa (Maraini e Meldini). senza da ultimo dimenticare - e la finisco con le scuse - quelle opere che si sarebbero volute leggere a tempo giusto; ma impossibilitato a ciò dal loro essere editorialmente gettate nel gran mucchio di libri, talora anche altrettanto buoni, solo in nome delle date utili ia calendari dei premi.
Col che, ecco un problema sul quale per il 1999 sarebbe davvero il caso di sorvolare. E mi limito ai tre canonici, lasciando perdere quelle migliaia di manifestazioni più o meno serie o da accattascrittori con “visto ella Pro Loco: quello Strega regalato a uno dei libri meno letterariamente significativi dell’annata come “Buio” della Mariani; l’einaudizzato Viareggio col carino “Vite senza fine” di Franco, e nulla e più, e il Campiello di seconda linea del dignitoso (ma nulla più) “Fuochi fiammanti a un’ora di notte” di Rea. Potrei anche qui aggiungere il Grizane e le sue giuste designazioni, ma i titoli finalmente premiati per reale valore erano però trai migliori frutti del 1998 qui più volte additati a un riconoscimento, ossia “Tuttestelle” e “L’isola riflessa” di Picca e Ramondino, infaticabili nel subito riaffacciarsi sul mercato: il primo col lodato “bellissima”; la seconda con un “Passaggio a Trieste” annunciato per il febbraio 2000.
E per questo 1999? A farmi una certa impressione è soprattutto il fatto di dover scorrere l’indice delle recensioni per ricordarmi di molte letture. Proprio per questo piuttosto che tornare sui titoli infelici solo in parte citati, preferisco ripensare al fatto che tutto sommato non “mi” è andata poi così male. Perché tra esordi o approdi a editori “importanti” non è mancato qualche autore o titolo diversamente interessante o promettente come Lecca o Castaldi e il loro puntare sulla letterarietà; l’affabulazione di Cavanacciuolo; il romanzo insieme autobiografico-giovanilistico e affabulatorio di Rocco Fortunato e di Nori; la scabra essenzialità di Giovanni Chiara; la forte capacità di tradursi narrativamante di fosco Maraini. Lo stesso vale per i cammini sempre più progressivamente sicuri per padronanza stilistica di Fois e Lucarelli, alle prese con costruzioni più complesse anche al di fuori dello schema poliziesco; di Nata e soprattutto di Nesi alle prese con ciclicità familiari o di personaggi; della composita costruzione narrativa di Spinato e di Montesano.
In qualche caso s’è trattato di nuovi incontri o reincontri con autori e testi più che complessivamente riusciti, come per Erri De Luca e Doninelli. Ma se proprio dovessi alla fine indicare gli esiti davvero più ali della “mia” annata, i nomi che avanzerei sono tre: “La moto di Scanderbeg” di Carmine Abate, più volte segnalato; e, ancor freschi di stampa, “Rondini sul filo” di Mari e “La Signora dei porci” della Pariani. Libri tra loro diversissimi. Per scrittura, nonostante operino di fatto antipodicamente sulla lingua. e per comodità di scarnificare se stessi attraverso gli altri. o i “personaggi altri”.