Gola, S. en Bastiaensen M. (a cura di), Sguardo sulla lingua e la letteratura italiana all’inizio del terzo millennio, Firenze 2004, Franco Cesati editore, pp. 309-319.

“La letteratura d'immigrazione: Carmine Abate”

  di Heidi Salaets
 


Nella letteratura di "migrazione" , bisogna definire bene i diversi termini di cui si fa generalmente uso, ossia distinguere le tre categorie prinicipali, cioè la letteratura dell'emigrazione, dell'immigrazione e quella sulla migrazione.
La letteratura dell'emigrazione è comunemente intesa come  letteratura dal punto di vista dell'italiano emigrato all'estero. Avendo come punto di partenza geografico l'Italia, questa letteratura va interpretata come la letteratura prodotta dagli italiani emigrati nel mondo ... e sono stati ben 25 milioni negli ultimi 150 anni.[1]
La letteratura sulla migrazione invece ha come tematica la migrazione (emigrazione e immigrazione). Fenomeni migratori sono sempre più frequenti nella nostra società multiculturale, multietnica, globalizzata e mondializzata e una produzione letteraria ampia che tratta questa problematica non deve meravigliarci. Alcuni esempi sono: Roberto Pazzi, Le città del dottor Malagutti, Sandro Veronesi, Gli sfiorati,  Sandro Onofri, Colpa di nessuno, Giulio Angioni, Una ignota compagnia.
Tratteremo invece in questo articolo la letteratura dell'immigrazione[2], un fenomeno abbastanza nuovo - non più nuovissimo ormai perché dalla fine degli anni '80 – che raggruppa gli scrittori stranieri immigrati in Italia che hanno deciso di esprimersi in italiano.

Alcuni nomi sono Abate, Tawfik, Bouchane, Crispim da Costa ecc.
            E' opportuno fare alcune considerazioni teoriche introduttive, prima di arrivare alla presentazione di uno scrittore eminente tra gli scrittori immigrati, cioè Carmine Abate.
A questo punto, non si può non menzionare il professore Armando GNISCI, ideatore della Banca dati BASILI on line, nel portale dell'Università La Sapienza a Roma.
Dal sorgere della letteratura dell'immigrazione alla fine degli anni '80, Gnisci se ne è occupato, all'inizio come unico studioso universitario. Diversi – menziona lui stesso – invece sono gli studiosi fuori dell'Università come Raffaele Taddeo e la sua associazione "La Tenda" a Milano.[3]
Il sito BASILI sta per Banca Data sugli Scrittori Immigrati in Lingua Italiana[4].

Lì si possono visualizzare inanzittutto le informazioni della base dei dati consultandola per autore, opera letteraria, critico letterario, opera critica, tesi di laurea inerente l'autore o l'opera.
Inoltre, ci si può guardare un passagio dell'opera letteraria che interessi il ricercatore. [5]
La seconda strada del sito porta alla rivista Kùmà (vuol dire "Parola" nelle lingua bambara, dell'Africa occidentale[6]): si possono leggere là dei contributi tanto degli scrittori stessi che fanno una riflessione sul fenomeno della letteratura dell'immigrazione e/o sulla propria opera, quanto di studiosi che si occupano di questa nuova letteratura.
In un'intervista dalla redazione fatta a Armano Gnisci, citiamo la seguente domanda e risposta che sottolineano l'importanza della testimonianza dell'immigrato per iscritto e/o pubblicata:

 R: La rivista propone l'idea di un meticciato culturale che nasca dall'incontro tra differenti realtà, senza il vecchio vizio dell'"assimiliazione". La letteratura, e in particolare quella della migrazione, può aiutare questo processo di confronto e di dialogo tra culture diverse?

G: La letteratura, insieme alla musica, è il primo e più forte veicolo della Voce dei popoli e degli individui migranti. Nessuno si ferma per strada ad ascoltare la storia/le storie che un immigrato potrebbe, vorrebbe raccontarci. Se egli/ella pubblica un libro, quelle storie, o quei poemi, li ascolteremo, anzi: saremo portati ad ascoltare una voce altrimenti impensabile.[7]

 Se vogliamo fare una tipologia dei testi degli immigrati, bisogna elencare le caratteristiche di essi.

 1. Si tratta di un fenomeno antropologico-culturale, nel senso che abbiamo a che fare con

 un incontro-scontro tra le culture del nord e quelle del sud del mondo (...), dei poveri verso e all'interno le terre dei ricchi[8]

 In effetti, bisogna precisare che la migrazione sud-nord non dev'essere interpretata in modo strettamente e esclusivamente geografico: si tratta di mondi che

 del sud portano le caratteristiche in termini di oppressione coloniale, povertà, sfruttamento economico, assimilazione culturale eccetera (...)[9]

 Così in Italia, non troviamo soltanto africani e albanesi, ma anche romeni, ungheresi, slovacchi ...

 2. Particolare in questo è che quell'incontro-scontro non si esprime tramite

 un discorso politico, sociologico o filosofico, ma scegliendo immediatamente la direzione del narrare di sé. E questa direzione, in qualsiasi modo la si voglia definire e giudicare, è naturaliter letteraria.[10]

 Del resto, sostiene ancora Gnisci, non è un fenomeno tanto nuovo della nostra civiltà occidentale:

 Tale presa di posizione [da parte dei soggetti migranti] si configura e diventa pubblica come racconto di sé, e prendere la parola per raccontare le proprie avventure è uno degli atti fondativi dell'intera civiltà occidentale attraverso la forma e la tradizione letteraria. Questo atto si concretizza in due 'scene primarie': quella della rappresentazione di un protagonista affabulante e quella della apologia dell'io che interviene e scrive in prima persona (...)[11]

 3. Coraggiosa, oseremmo definire, la scelta, da parte degli autori di scrivere nella lingua del paese ospite, in casu  l'Italia il che rivela l'intenzione di voler comunicare direttamente con il pubblico di accoglienza,gli italiani. I testi sono quindi scritti per gli italiani e non per i connazionali africani, albanesi, ecc.

 4. Legato a quest'ultima caratteristica è il fatto che ultimamente, gli autori si sono distanziati dalla scrittura in collaborazione con adiutori italiani[12] e che stanno mostrando di volersi costituire e presentare come "scrittori" in senso pieno. Gnisci ammette di non aver scoperto ancora un rinnovamento del codice narrativo nel gruppo di "autori a quattro mani", appunto perché si tratta di cooperazione endolinguistica, interlinguistica, interculturale e intersemiotica. In questo gruppo, distingue tre tipi di testo[13]:

 a) testi appuntati e scritti più o meno in italiano e poi tradotti e normalizzati in lingua italiana letteraria corrente da giornalisti, scrittori-giornalisti o consulenti editoriali[14]

b) testi trascritti dal colloquio del curatore con l'autore[15]

c) testi tradotti da un originale inedito[16]

 Durante la sua conferenza al convegno a Lovanio sul rinnovamento del codice nel 1993, Gnisci non poteva prevedere che quello che ha chiamato allora "prospettive futuribili ma non improbabili" si sarebbe avverato appena qualche anno dopo con scrittori ormai "maturi" e indipendenti come Tawfik (iracheno), Abate (arbëresh, italo-tedesco), Kubati e Hajdari (albanesi), Ockayovà  (slovacca) ecc.

Poneva allora Gnisci:

 (...) la lingua letteraria italiana – la più longeva in Europa – sarà forse rinnovata in maniera imprevedibile quando a scrivere in italiano saranno anche stranieri immigrati senza coautori normalizzanti, così come è già accaduto per la letteratura francese, per quella inglese o quella spagnola (...)[17]

 Vorremmo soffermarci ancora su una caratteristica particolare di questi primi testi, che è quella del "narrare di sé" il che

 porta con sé, e allo stesso tempo ne è portata, la grande forma della narrazione avventurosa, della esistenza intesa come un viaggio verso e attraverso terre straniere e meravigliose.[18]

 Secondo noi, bisogna riconsiderare in quest'ambito bene il concetto di "autobiografia" e di "discorso autobiografico".  Franca  Sinopoli la pone così:

          (...) l'Autobiografia, con la A maiuscola, intesa come genere "maior" in cui si è realizzata in letteratura la possibilità dell'invenzione di sé come altro, non deve essere completamente sovrapposta in questo caso al discorso autobiografico, che nella letteratura italiana della migrazione attraversa forme e generi diversi e che non ambisce mai a una corrispondenza perfetta con il canone occidentale dell'autobiografia, esso stesso peraltro polimorfo e dallo statuto problematico.[19]

 Che lo statuto dell'autobiografia sia problematico, lo dimostrano i numerosi studi e la continua

ricerca su questo fenomeno. Questa non è la sede adatta per approfondirlo, ma possiamo sottolineare soltanto alcune parole fondamentali della citazione qui sopra: "l'invenzione di sé come altro". La letteratura dell'immigrazione naturalmente subisce in modo ancora più particolare questa trasformazione dell'"io" in un "altro" perché l'immigrato per forza ha difficoltà a definire la propria identità. E' costantemente confrontato al dilemma di scegliere tra le origini (con la loro cultura, la loro lingua ecc.) e  la nuova vita in un altro paese con altri costumi, altra lingua e così via. E' logico quindi che lui "emblemizza di norma processi di mutamento (esistenziali, psicologici, lavorativi, di status ecc.) tutti connessi allo sradicamento e al trapianto"[20]. L'immigrato selezionerà quasi esclusivamente i ricordi concernenti le origini e/o lo sradicamento, cercherà soprtattutto di trovare una soluzione per il dilemma che lo divora, e facendo così si trasformerà in un "altro" scrivendo.

          A mo' di conclusione di questa parte teorica-introduttiva, vogliamo accennare alla

cultura arbëreshe e  al quadro storico-culturale della presenza albanese in Italia. [21]      

                     Riportiamo alla memoria che l'emigrazione albanese in Italia è avvenuta in un arco di tempo che abbraccia circa tre secoli, dalla metà del XV secolo alla metà del secolo XVIII.

 

Questa emigrazione non si compì ad un tratto, ma a varie ondate, anche se la maggior parte delle colonie albanesi furono fondate dopo il 1468, anno della morte dell'eroe nazionale Giorgio Castriota Scanderbeg. La migrazione continuò a più riprese nel corso dei secoli successivi, fino al 1744, anno in cui venne fondata Villa Badessa in Abruzzo.[22]

 Si registrano anche passaggi di gruppo consistenti di emigrati albanesi a Venezia mentre i nuclei più consistenti si erano stanziati principalmente in Puglia, ma anche in Calabria e in Sicilia, perfino prima dell'invasione ottomana (precisamente nel 1272, 1338 e nel 1393).

 Queste migrazioni ripetute si spiegano per lo spirito di libertà e di indipendenza che ha sempre animato il popolo albanese, specie durante il dominio turco. Gli albanesi vengono descritti come "gente orgogliosa e dotata di un forte spirito etnico e comunitario".[23]

Gli albanesi fondarono o ripopolarono quasi un centinaio di comunità, la maggior parte delle quali concentrate in Calabria. Bisogna però tenere in mente che la costituzione di comunità albanesi non è avvenuta d'un colpo, con uno spostamento netto e definitivo ma tramite un processo lungo e tormentato.

                  Qual è la posizione di Carmine Abate in questo panorama?

E' nato nel 1954 a Carfizzi, un paesino di origine albanese in provincia di Crotone. Figlio di emi­granti, dal 1971 ha cominciato a fare la spola tra il paese e Amburgo, dove ha trascorso in famiglia le vacanze estive lavorando in fabbrica e nei cantieri. Si è laureato in Lettere all'età di 21 anni, con una tesi sull'interpretazione del Boccaccio alla "Divina Commedia".

Dal 1976 insegna in Italia e in Germania, soprattutto a Co­lonia, dove per sette anni ha insegnato italiano ai figli degli italiani emigrati.

A 23 anni esordisce con una raccolta di poesie dal titolo Nel labirinto della vita e nel 1984 pubblica in Germania Den Kof­fer und weg!, una raccolta di racconti incentrati sul tema dell'emigrazione. Seguono poi Il muro dei muri (1993), La moto di Scanderbeg (1999) , Il ballo tondo (prima edizione 1991, seconda edizione 2000). Il suo ultimo romanzo Tra due mari è uscito nel febbraio del 2002.

 Come il lettore intenderà dalla breve biografia,  Abate si trova su una crocevia di culture diverse: nato in un paese arbëreshe, figlio di immigranti, diventa lui stesso già prima dei suoi venti anni un "migrante" perché prima emigra in Germania per poi tornare in Italia all'età di 39 anni con la moglie tedesca, dove in effetti vivrà a metà strada tra la Calabria e la Germania, nel Trentino.

Linguisticamente, la madrelingua di Abate è e rimane la lingua arbëreshe, cioè l'albanese antico, anche se amette lui stesso di non padroneggiare più la lingua scritta arbëreshe[24]. Comunque, la usa abbastanza frequentemente nei primi due romanzi (Il ballo tondo, La moto di Skanderbeg) il che significa che fa sempre parte della sua cultura, che gli è stata trasmessa dai genitori, tra l'altro tramite i racconti e le rapsodie.

            Abate si auto-definisce come "un transfuga linguistico" ossia "uno scrittore che scrive in una lingua diversa da quella che ha imparato dalla voce della propria madre."[25]

E aggiunge: 

Pur essendo laureato in Lettere, per me l'italiano resta una lingua straniera, che mi ha fatto penare da bambino (non dimenticherò mai il primo giorno di scuola con il maestro che parlava in italiano e io che lo ascoltavo a bocca aperta senza capirci un'acca) e ora in qualche modo padroneggio: è l'unica lingua che so scrivere correttamente o quasi e che mi si è imposta come lingua letteraria. Una lingua-distanza che mi ritorna utile per scrivere su temi come l'emigrazione, altrimenti rischierei in ogni pagina di scadere nella retorica e nei piagnistei.[26] 

Apparentemente, la conoscenza del tedesco – che padroneggia pure, essendoci vissuto per una ventina di anni – non la giudica sufficiente per scrivere (quello che ha scritto in Germania, è stato corretto o scritto "a due mani" (qui la figura di Meike Behrmann, sociologa tedesca, sembra determinante). Oltre a Den Koffer und weg!, primo libro di narrativa, gli altri titoli in tedesco sono tutte traduzioni dall'italiano.[27]

 Guardiamo i tre romanzi da più vicino: li presentiamo in ordine apparentemente non cronologico ma la versione del 2000 de Il ballo tondo in realtà è un'edizione che rispecchia sostanzialmente quella della Marietti del 19999. Soltanto Il ballo tondo merita la definizione di romanzo d'esordio quindi.[28] 

Il ballo tondo (2000) racconta la storia della famiglia Avati in una piccola comunità di arbëresh. E' l'amico dell'unico figlio di questa famiglia Avati, Costantino, che racconta la storia. Il nome di "Costantino" sarebbe dedotto da uno dei "balli tondi" arbëreshe più famosi che apre tra l'altro il libro. Il padre di Costantino, detto "il Mericano" emigra in Germania per guadagnare più soldi e torna regolarmente nel paese.

Seguiamo le intrecce di una vita di famiglia nello stesso tempo semplice – con le preoccupazioni di qualsiasi altra famiglia – e complessa -  con matrimoni da organizzare per le figlie, con una storia misteriosa di autentica vendetta, con il dilemma tra l'adorazione della cultura arbëreshe e la mancanza di rispetto per essa.

    Il filo rosso invece ne La moto di Scanderbeg (1999) è la ricerca di Giovanni Alessi : la ricerca di sé stesso, della sua identità. Non è evidente, definire quest'identità: diviso tra Colonia (in Germania) e Hora (paese arbëreshe in Calabria), è sempre senza casa. In realtà, si ricorda le parole di suo padre che gli diceva: "Se ti dicono di restare, parti. Se ti dicono di partire, resta". La storia di Giovanni è legata indistricabilmente a quella del padre, chiamato da tutti Scanderbeg (non conosceremo il suo vero nome), riferendo all'eroe della storia albanese. Eroe perché Scanderbeg è un uomo affascinante, avventuriero, leader delle rivolte contadine nell'Italia del dopoguerra. A causa del suo carattere di fuoco, Scanderbeg perde la vita, già all'età di 35 anni. Il figlio, che gli assomiglia tanto e che continua a girare sull'eterna moto Guzzi Dondolino del padre, riceve il nome eroico Scanderbeg in eredità.

    In Tra due mari (2002), Giorgio Bellusci ha un solo sogno : ricostruire il Fondaco del Fico, una locanda nei pressi di Roccalba, paesino della Calabria "appogiato come un ferro di cavallo su una collina tra due mari, lo Ionio e il Tirreno".

Leggiamo la storia di questo Giorgio, intrecciata con diverse altre storie, raccontate a "viva voce" da uno dei personaggi stessi o dal narratore e questo spesso sotto forma di "viaggi" che saranno quattro, carichi di significato. Intrecciate con i viaggi saranno altre storie e altri personaggi le cui vie in un modo o un altro si incrociano.

             In primo luogo, guarderemo da più vicino le caratteristiche che accomunano i tre romanzi.

Un primo elemento è stato menzionato già in un certo senso nei riassunti: nei tre romanzi, c'è sempre un intreccio di vari strati nella narrazione che non disturba però la lettura o la linearità del racconto perché l'autore possiede il dono di inserirli abilmente l'uno nell'altro.

Narratologicamente poi, ad Abate piace giocare con i punti di vista: il narratore cambia regolarmente. Ne La moto di Scanderbeg "l'io" coincide nella maggior parte con Giovanni Alessi, ma anche con il padre di Giovanni, con suo zio o con Stefano Santori, un conoscente di Giovanni. Conosceremo il punto di vista dell'ultimo soltanto tramite le lettere: secondo noi, costituisce un gioco abile dell'autore che aumenta così il carattere misterioso del personaggio. Per di più, questi "io" sono alternati con il narratore che ricorda Il sogno di Scanderbeg riferendosi  al vero Scanderbeg, cioè l'eroe albanese. L'autore in questo modo continua ad attirare l'attenzione del lettore, senza mai compromettere la scorrevolezza della narrazione.

Alcune tematiche sono frequenti in tutti i romanzi: quella della migrazione, quella della cultura arbëreshe (qui fa eccezione l'ultimo romanzo), lo sdoppiamento dei personaggi (ossia la loro divisione tra due paesi) e tutto questo connesso alla tematica generale e onnipresente dell'inquietudine, dello spostamento, del viaggio. Inevitabilmente, si inserisce qui un forte elemento autobiografico: non soltanto per quanto riguarda l'appartenenza alla comunità arbëreshe ma anche relativo agli spostamenti e ai viaggi che si fanno sempre dall'Italia in Germania o vice versa. Viaggi che l'autore stesso ha compiuto tutta la vita!

Ne La moto è il protagonista che fa la spola tra la Germania e l'Italia, ne Il ballo tondo è il padre di Costantino che vive nel sud, ma lavora nel nord d'Italia, in Tra due mari sono ancora il protagonista e la sua famiglia che vanno e vengono tra nord e sud, tra la Germania e l'Italia.

Inoltre, si possono definire il misto linguistico (che caratterizza soprattutto le prime due opere) e l'originalità lessicale come risultato degli spostamenti frequenti appena menzionati: un italiano che si sposta in Germania o che ci vive è un "germanese" (cioè né italiano, né tedesco) e uno che va in America viene considerato dagli altri un "mericano".

Con misto linguistico, intendiamo l'uso tanto dell'italiano quanto del tedesco e dell'arbëreshe, sottolineando però che l'italiano costituisce sempre 95% dell'opera. L'arbëreshe è più frequente ne Il ballo tondo dove ci sono intere citazioni in questa lingua antica, nonché riferimenti alle rapsodie,  e dove certi capitoli sono numerati in arbëreshe (nië, dy, tre, katër, pesë, gjashtë, shtatë, tetë, nendë, djetë ... poi undici) o portano un titolo in arbëreshe. Ogni tanto l'autore mette la traduzione accanto (tra due virgolette), ogni tanto tocca al lettore intuire il contenuto o dedurlo dal contesto ...

Un'altra caratteristica che accomuna la scrittura di Abate è la forza della descrizione che è ricca di dettagli, senza che appesantisca però l'insieme. Un esempio può illustrare questo fatto:           

A differenza delle sorelle, il piccolo Costantino non era la sintesi dei genitori, non avendo eriditato né l'esuberanza fisica e i capelli blunotte della madre, né gli occhi camaleontici del padre, del colore del marmo cipollino con striature ora verdi smeraldo ora grigie, a seconda dell'umore e del tempo.[29]             

In Abate poi, è molto importante la trasmissione orale via racconti e, più specificamente via rapsodie ne Il ballo tondo (dove anche la figura del rapsodo è cruciale).

Si può senz'altro svelare anche qui un elemento autobiografico: lo stesso Abate si ricorda i racconti della madre ...

Infine, vorrei menzionare una caratteristica che il giornalista e critico letterario Marco Semo, ha definito in modo fortunato  "una galleria di ritratti che evita le trappole di un facile folclore"[30] Anche se i personaggi non vengono presentati via scavi psicologi profondi, il lettore riesce perfettamente a collocarli nel loro ambiente, nella loro cultura, nel loro modo di essere ... umano.  

            Naturalmente, ogni romanzo è un'opera a sé stante e in secondo luogo tratteremo quindi le differenze  che costituiscono l'originalità di ogni romanzo.

La cultura e la vita della comunità arbëreshe sono sempre meno presenti se guardiamo i libri cronologicamente, da Il ballo a Tra due mari dove è praticamente assente.

            Il ballo tondo in particolar modo possiede un profondo carattere mitico, grazie alla presenza delle rapsodie che costituiscono una forte tradizione, alla presenza dell'aquila bicipite (simbolo dello stato albanese), alla vendetta che viene applicata quando l'onore di famiglia è stato danneggiato.

Bisogna però distinguere la  vendetta in Il ballo da quello in Tra due mari: la prima viene commessa per motivi autentici (la violazione dell'onore familiare) mentre la seconda è il risultato di azioni mafiose ordinari (cioè per motivi di denaro e profitto personale).

La tematica dell'inquietudine infine viene trattata in modo diverso nei tre libri: ne Il ballo tondo viene espressa tramite l'insicurezza della vita, della "sistemazione" (matrimonio, famiglia), tramite la presenza misteriosa e strana dell'aquila bicipite. Ne La moto di Scanderbeg, l'inquietudine è caratterizzata dal dilemma tra partenza o permanenza.

In Tra due mari invece, l'ossessione di Giorgio Bellusci coinvolge tutti e rende tutti molto inquieti e incerti. 

            Concludendo, possiamo definire Carmine Abate uno scrittore leader tra i pionieri della letteratura dell'immigrazione  per la sua narrazione originale in un italiano arricchito da neologismi e brani in lingua originale (in casu l'arbëreshe), per la presenza contradittoria, ma mai conflittuale tra tradizione e  miti del popolo arbëreshe e costumi del paese ospitante (l'Italia), per l'approfondita ricerca dell'identità tanto dei personaggi quanto dell'autore stesso.

 

 

Bibliografia generale

 Altimari, F., "Gli arbëreshë: significato di una presenza storica, culturale e linguistica" in Altimare, F. e Savoia, L.M. (a cura di), I dialetti italo-albanesi. Studi linguistici e storico-culturali sulle comunità arbëreshe, Presentazione di Tullio De Mauro, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 9-32. 

Bocci, Gianpiero, "Presentazione" in Genovese, Raffaele e.a. (a cura di),  "Prefazione" in Alì e altre storie. Letteratura e emigrazione, Torino, Stamperia Artistica Nazionale, 1998, pp. 13-16. 

Gigotti, Stefano,"Prefazione" in Genovese, Raffaele e.a. (a cura di), Alì e altre storie. Letteratura e emigrazione, Torino, Stamperia Artistica Nazionale, 1998, pp. 9-11. 

Gnisci, A., "Testi degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano", in Gli spazi della diversità, Atti del Convegno Internazionale Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1949 al 1992, Leuven, Louvain-la-Neuve, Namur, Bruxelles, 3-8 maggio 1993, Volume Secondo, a cura di S. Vanvolsem, F. Musarra, B. Van den Bossche, Roma-Bulzoni editore, Leuven UP, 1995, pp. 499-515. 

Semo, Marco, "Libération", 14-2-2002, citato in Carlino, C. ,"Carmine Abate, 'rivelazione' francese", Gazzetta del Sud, 17-02-02. 

Sinopoli, Franca, "Poetiche della migrazione nella letteratura italiana contemporanea: il discorso autobiografico in Studi (e testi) italiani, Università di Roma "La Sapienza", Dipartimento di Italianistica e Spettacolo, n. 7, 2001, pp. 189-206. 

http://www.unil.ch/ital/scripts/letquery.pl (12-02-2002) 

http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/sezioni/critica/ForumItalicum.html (06-03-2002) 

http://cisadu2.let.uniroma1.it/basili (06-03-2002) 

http://www.disp.let.uniroma1.it/Kuma/SEZIONI/critica/sinopoli-critica-kuma3.html (06-03-2002) 

http://digilander.iol.it/vocidalsilenzio/carmineintervista.htm (12-02-2002) 

http://digilander.iol.it/vocidalsilenzio/intervistagnisci.htm (12-02-2002) 

http://digilander.iol.it/vocidalsilenzio/curriculumgnisci.htm (12-02-2002) (per una bibliografia di Armando Gnisci) 

http://digilander.iol.it/vocidalsilenzio/biblio1.htm (12-02-2002) 

 

 

Bibliografia di Carmine Abate

1977,   Nel labirinto della vita, Roma, Juvenilia.
1984,   Den Koffer und weg, Kiel, Neuer Malik.

Die Germanesi
, Frankfurt-New York, Campus.
1986,   I Germanesi, Cosenza, Pellegrini.
1991,   Il ballo tondo, Milano, Marietti.
1993,   Il muro dei muri, Lecce, Argo.
1996,   Terre di andata, Lecce, Argo.
1999,   La moto di Scanderbeg, Roma, Fazi.
2000,   Il ballo tondo, Roma, Fazi.
2002,   Tra due mari, Milano, Mondadori. 


[1] Per ulteriori studi e per chi è interessato al fenomeno della letteratura degli italiani all'estero, riferiamo alla Banca Dati sugli Scrittori di Lingua Italiana all'Estero (BASLIE) all'università di Losanna (istaurata da Jean-Jacques Marchand nel 1992), oltre alla tradizione e alla notevole produzione che essa possiede già e la conseguente ricca bibliografia critica. Il sito è http://www.unil.ch/ital/scripts/letquery.pl

[2] Viene definita anche letteratura immigrata. Si veda Gigotti, Stefano,"Prefazione" in Genovese, Raffaele e.a. (a cura di), Alì e altre storie. Letteratura e emigrazione, Torino, Stamperia Artistica Nazionale, 1998, p. 9.

Invece, non siamo d'accordo con chi definisce "letteratura dell'emigrazione" l'insieme delle opere scritte da emigrati qualunque ne sia la tematica (Bocci, Gianpiero, "Presentazione" in , Genovese, Raffaele e.a. (a cura di),  in Alì e altre storie, op.cit. p. 14). Significa che sparisce la distinzione tra Italiani emigrati che scrivono all'estero e stranieri immigrati in Italia che scrivono in italiano, il che aumenta secondo noi la confusione terminologica.

[5] ib., p. 2.

[6] ib.

[8] Gnisci, A., "Testi degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano", in Gli spazi della diversità, Atti del Convegno Internazionale Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1949 al 1992, Leuven, Louvain-la-Neuve, Namur, Bruxelles, 3-8 maggio 1993, Volume Secondo, a cura di S. Vanvolsem, F. Musarra, B. Van den Bossche, Roma-Bulzoni editore, Leuven UP, 1995, p. 502.

[9] Sinopoli, Franca, "Poetiche della migrazione nella letteratura italiana contemporanea: il discorso autobiografico", in Kùmà, http://www.disp.let.uniroma1.it/Kuma/SEZIONI/critica/sinopoli-critica-kuma3.html, p. 2.

Il presente contributo è apparso su Studi (e testi) italiani, Università di Roma "La Sapienza", Dipartimento di Italianistica e Spettacolo, n. 7, 2001, pp. 189-206.

[10] Gnisci, A., "Testi degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano", op.cit., p. 504.

[11] ib., p. 505.

[12] A fianco allo straniero immigrato c'è un coautore, trascrittore, traduttore italiano. Che nella maggior parte dei casi è un giornalista (ib., pp. 507-508).

[13] ib., p. 508.

[14] Per esempio: Volevo diventare bianca, della algerina saharawi Nassera Chohra, curato da Alessandra Atti di Sarro, giornalista della RAI (Edizioni "e/o", 1993)

[15] Per esempio: La promessa di Hamadi, del senegalese Saidou Moussa Ba e Alessandro Micheletti (De Agostini, 1991)

[16] Per esempio: Chiamatemi Alì, del marocchino Mohamed Bouchane, un diario tradotto, trascritto e discusso insieme con Carla De Girolamo e Daniele Miccione (Leonardo, 1990).

[17] Gnisci, A., "Testi degli immigrati extraeuropei in Italia in italiano", op.cit., p. 512.

[18] ib., p. 513.

[20] Bocci, Gianpiero, "Presentazione", op.cit., p. 13.

[21]  Ci basiamo su: Altimari, F., "Gli arbëreshë: significato di una presenza storica, culturale e linguistica" in Altimare, F. e Savoia, L.M. (a cura di), I dialetti italo-albanesi. Studi linguistici e storico-culturali sulle comunità arbëreshe, Presentazione di Tullio De Mauro, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 9-32.

[22] ib., p. 9.

[23] ib., p. 11.

[24] "Con Francesco Altimari ho anche debiti di riconoscenza per avermi aiutato a correggere la mia traballante ortografia arbëreshë", Nota dell'autore in Abate, Carmine, Il ballo tondo, Roma, Fazi editore, 2000, p. 216.

[26] ib.

[27] Il muro dei muri diventa Lisa und die nahe Ferne; anche i suoi primi due romanzi saranno tradotti dall'italiano in tedesco e pubblicati dal gruppo editoriale Piper di Monaco.

[28] Carmine Abate dichiara lui stesso in una "Nota dell'autore": "Questa edizione del Ballo tondo rispechia sostanzialmente quella pubblicata da Marietti nel 1991. Ho solo eliminato qualche ridondanza e gli errori di vario genere, ho reso più scorrevoli alcuni periodi e aggiunto quattro o cinque frasi. Insomma ho lavorato sui dettagli, stando però attento a non intaccare il ritmo narrativo che già nelle prima pagina insegue l'eco delle rapsodie recitate o cantate dalle vecchie della mia infanzia". (Il ballo tondo, Roma, Fazi editore, 2000, p. 215).

[29] Abate, Carmine, Il ballo tondo, Roma, Fazi,  2000, p. 12.

[30]Semo, Marco, "Libération", 14-2-2002, citato in Carlino, C. ,"Carmine Abate, 'rivelazione' francese", Gazzetta del Sud, 17-02-02.