Avvenire 8 agosto 2004 Sulla via del ritorno Abate riconcilia il popolo «arberesh» La narrativa di Carmine Abate nasce da un’idea di letteratura che porta l’autore a privilegiare alcuni temi «morali». che danno forza alle sue storie. Innanzitutto Abate si affida sempre al recupero delle «radici» che, nel suo caso, equivale anche a far vivere una tradizione e una cultura minoritaria, quella arberesh, sorta in Calabria dal radicamento di alcune colonie albanesi. Anche il nuovo romanzo, La festa del ritorno, che appare direttamente come novità negli Piccola Biblioteca Oscar, è ambientato ad Hora, un luogo che è diventato mitico per Abate, la terra immaginaria in cui far rivivere il tempo magico della felicità, una sorta di Eden al quale si è sempre ricondotti dalla forza della nostalgia. Del resto il tema del «ritorno» è già indicato nel titolo e per Abate equivale a stare attaccati al proprio tessuto morale, alla propria tradizione. Anche dopo essere stati costretti a partire per necessità, per lavorare duramente, è necessario tornare a casa, riappropriarsi delle proprie cose, anche soltatno delle voci familiari dell’arberesh.Il racconto di Abate (uno dei suoi libri migliori), nella sua incantata semplicità espressiva, ha un andamento poematico, proprio là dove azzera tutte le ambizioni del narratore e dà spazio solamente alla profonda nostalgia del vissuto. Così abbiamo due uomini che soffrono per motivi opposti: un ragazzo – che è anche il narratore della vicenda – aspetta il ritorno del padre per le feste (Natale o Pasqua). La sua condizione d’emigrante (fa il muratore in Francia) lo tiene lontano da casa e spezza il rapporto di vicinanza con il figlio, a lui legatissimo. Il padre soffre più del figlio e versa lacrime silenziose quando deve partire di nascosto per rendere meno indolore il distacco. Intorno a queste «fenomenologie dell’abbandono» si snoda l’intera vicenda che Abate racconta non in senso drammatico, ma mettendo in scena, quello che in Lombardia, si chiamerebbe il «magone». Nel romanzo ci invadono i profumi e la luce di Hora, simbolo di un mondo da preservare, anche se non è più possibile riaverlo così come si è costruito nella memoria del narratore. Il libro diventa così il racconto di un sogno messo a dura prova dalla realtà, quella dell’emigrazione, quella del dissidio tra i genitori e i figli. Emblematica la vicenda della sorella del protagonista, con le sue ombre che si stagliano sulla solarità di una vicenda che commuove, stupisce, si dipana nel segno di un abbraccio che raccoglie e unisce le diversità, gli abbandoni, le distanze, i segreti che padre e figlio rivelano inseguendo ciascuno la propria verità. |