Letture giugno 2004 Meglio la mitologia dello psicodramma "Se ai mortali fosse possibile scegliere tutto da sé, /
sceglieremmo per primo il giorno del ritorno del padre". Omero sintetizzò
in questo verso il duplice movimento dell'Odissea: un figlio in cerca del padre,
un padre in cerca della patria. Nell'ultimo romanzo di Carmine Abate palpitano
esigenze altrettanto profonde. Siamo a Hora, comunità arbëresh (italo-albanese)
sulle pendici della Sila. È la notte di Natale, e il tradizionale rogo danza
sul sagrato. Lì davanti padre e figlio celebrano però un'altra festa,
l'annuale ritorno a casa del migrante per abbracciare i propri bambini, mentre
il tempo lo rapina della loro crescita. Il racconto del padre e i ricordi di
Marco si alternano e si completano, fino a conchiudersi nel momento presente.
L'infanzia come età dell'oro, l'emigrazione con il suo carico di lontananza,
solitudine e spasmodica attesa del ritorno, sono lo sfondo su cui si articola
anche la storia di Elisa, insofferente primogenita alla ricerca delle proprie
radici. La scrittura, corposa e poetica, vive di un fitto plurilinguismo. Mai
bozzettistico né sterile virtuosismo, però: necessario, piuttosto, a rendere
plasticamente l'esuberante vitalità della propria lingua. |