La Provincia Cosentina 1 aprile 2004
La festa del ritorno "Storia di
un emigrante"
di Nicola Bavasso
I personaggi di Carmine Abate, figli di una Calabria simbolo del
melting pot linguistico mediterraneo, parlano in calabrese, arbėresh
ed italiano mantenendo un equilibrio narrativo straordinariamente efficace.
Con un romanzo inteso, poetico, appassionato, contraddistinto da una
scrittura originale e da una straordinaria efficacia narrativa, Carmine
Abate č tornato nelle librerie. La festa del ritorno, č il titolo che il
maggiore scrittore arbėresh, ha voluto dare ad una storia di sentimenti
forti, di legami familiari autentici e di spasmodica attesa di un figlio che
con rabbia e preoccupazione aspetta il ritorno di un padre emigrato in
Francia. Lo scandire narrativo dello scrittore di Carfizzi, č incentrato
sulle partenze e sul ritorno in paese di compare Tullio che racconta a
Marco, sotto il crepitio del fuoco, del suo duro lavoro all’estero, lontano
dalla famiglia. Marco tiene vive nella mente le giornate trascorse con il
padre per i boschi, la rigogliosa campagna e le strade del dolce borgo natio
e dopo le sue improvvise partenze, segue pedissequamente i suoi
insegnamenti. Per Marco l’assenza del padre si trasforma in un dolore
cronico sotto pelle, una spina invisibile che punzecchia il cervello. Questi
motivi segnano la crescita di Marco e stimolano la trama narrativa di
Carmine Abate. Un percorso narrativo fluido e piacevole dove elementi di
denuncia sociale come l’emigrazione, il duro lavoro e l’abbandono del luogo
di origine, si intrecciano con i legami familiari e con amori misteriosi
(l’amore di Elisa, la figlia maggiore, per un uomo misterioso dai capelli
brizzolati che tutti chiamano “il vecchio”).
Carmine Abate ancora una volta ci regala un romanzo intenso, originale e
mitologico che esalta la figura patriarcale e il senso della vita, qui
segnata da partenze e ritorni.
Quest’ultima fatica letteraria di 163 pagine, č ambientata in un paese
arbėresh incastonato in dolci colline inebriate dal profumo di zagara che
occhieggia da lontano all’azzurro mare Jonio deti Jonė. E’ Hora che ritorna
coi suoi luoghi suggestivi, carichi di storia e colori, a fare da proscenio
all’incedere letterario di Abate. La Hora del bar Viola, che fa da cornice
ai racconti francesi di Tullio e ritorna prepotente con i suoi ambienti
magici, a fare da scenario principale ai giorni dell’infanzia di Marco
segnati dall’assenza del padre. Gli ambienti della cittą immaginaria di
Abate riempiono con i profumi intensi ed i colori morbidi della natura, le
interminabili settimane adombrate dall’assenza del genitore. Analogie e
luoghi comuni ritornano nel romanzo seguendo una circolaritą che diventa
modo di vivere ed agire.
Ne la Festa del ritorno, Hora non č in evidenza come nelle scorribande della
Moto Guzzi Dondolino di Skanderbeg e nella atmosfera magica ed ovattata del
Ballo Tondo. E’ piuttosto un paese che vive blandamente in attesa del
ritorno di compare Tullio, uno dei suoi figli emigrati. Tutta Hora festeggia
il suo ritorno e si apre nella sera di Natale attorno al fuoco.
La festa del ritorno č un romanzo caldo contraddistinto da una lingua
contaminata e per questo viva. Un romanzo intarsiato da tre lingue e da tre
registri differenti che rendono la narrazione incredibilmente fluida . I
personaggi di Carmine Abate, figli di una Calabria simbolo del melting pot
linguistico mediterraneo parlano in calabrese, arbėresh ed italiano
mantenendo un equilibrio narrativo straordinariamente efficace.
La festa del ritorno č anche un romanzo denso di metafore e mitologia. Il
fuoco zjarri, simboleggia il focolare domestico vatra, l’accoglienza
calorosa del vicinato č mikpritja e gjitonisė, uno dei capisaldi della
cultura arbėreshe. Ed ancora la ricerca spasmodica del mare nei giorni di
malattia di Marco, “ku ėsht deti”, sono la metafora della guarigione terrena
(i bagni di sabbia) che avviene attraverso la ricerca delle proprie radici
che si rafforzano alla vista del mare Ionio deti Jonė. Il mare e la storia
di Kostantini i vogėl raccontata dalla dolce voce della nonna, accompagnano
la guarigione di Marco dalla grave malattia che aveva fatto piangere in
solitudine dalla Francia compare Tullio.
Nelle pagine pił dense e cariche di valori familiari autentici, si avverte
l’urgenza del ritorno di Tullio che si sintetizza in quel “kthehem, kthehem,
bir” ritornerņ, ritornerņ figlio.
Il lancio della valigia di finta pelle, ancora una volta davanti ai fiotti
delle fiamme, infine, sintetizza la rinascita di un padre che rivive nel
giorno in cui nasce Gesł, la rinascita di un patriarca che ritorna
definitivamente in famiglia.
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