Abate, è vera festa
L´ultimo libro, una narrazione straordinaria
Si apre il libro a una qualsiasi pagina e si trovano paragoni
saporosi, impasti lessicali
di GIUSEPPE COLANGELO
Da quando all´inizio degli anni Novanta è apparso sulla
scena letteraria nazionale, Carmine Abate non ha sbagliato un colpo.
Se con il romanzo d´esordio "Il ballo tondo" (Marietti, 1991; poi
Fazi, 2000) aveva subito fatto vedere il suo straordinario talento narrativo,
con le prove successive ha pienamente confermato tutte le attese suscitate.
Oggi, dopo le pagine - tra le più dense e coinvolgenti che si possano leggere
da noi - di opere come "Il muro dei muri" (Argo, 1993), "La moto
di Scanderbeg" (Fazi, 1999) e "Tra due mari" (Mondadori, 2002)
egli è considerato scrittore di statura eccezionale da un numero crescente di
critici, italiani ma anche stranieri. Valga, a mero titolo d´esempio più
recente, Philippe - Jean Catinchi, che su "Le Monde" (27 febbraio
2004) lo ha definito "bâtisseur de rêves" e "formidable conteur".
Un giudizio assai lusinghiero che nasce, come è già avvenuto in Italia, dal
puro, spassionato (e starei per dire inevitabile) riconoscimento delle oggettive
qualità dello scrittore calabrese: la capacità di condensare in folgoranti
figure romanzesche complesse vicende individuali e collettive; la nativa
attitudine a intrecciare in modo affascinante mito, cronaca e storia e, last not
but least, uno stile potente e profondamente originale. Sono, a ben guardare, le
doti peculiari del conteur. E cioè propriamente del narratore più che dello
scrittore: lo scrittore può praticare la scrittura come puro "esercizio di
stile" non dettato da un´intima necessità; il narratore inventa una sua
lingua per rendere al meglio il viluppo incandescente di ricordi, di fantasie e
di sentimenti che gli urgono dentro. Abate allora è, nel senso forte della
parola, un narratore, o meglio - come dice Philippe Jean Catinchi - "un
formidabile narratore". E lo è non soltanto in virtù delle cose che ha
già scritto, ma anche di quelle che continua a scrivere come appare chiaro
dalla sua ultima fatica letteraria, approdata da pochi giorni in libreria.
Si intitola "La festa del ritorno" (Piccola Biblioteca Oscar,
Mondadori, pp. 168, euro 7,80) questo nuovo libro di Abate ed è un romanzo che
conquista il lettore sin dalle prime pagine avvolgendolo in una piacevole rete
di fascinosi snodi narrativi continuamente vivificati da un linguaggio ricco di
estrosa energia.
Al centro del racconto, ambientato in un paese arbëresh della Calabria in un
periodo grosso modo compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo da
poco trascorso (ma si ricordi che la fabulazione abatiana basata com´è su
continue commistioni fra reale e fantastico, storia e invenzione, non prevede
gabbie cronologiche troppo precise) ci sono le vicende di un ragazzo tredicenne,
Marco, e di suo padre Tullio emigrato in Francia per assicurare un futuro ai
suoi figli. I due, nello stesso tempo protagonisti e voci narranti, si alternano
nel raccontarsi/ci i momenti salienti delle loro esistenze sospese tra
separazioni e ricongiungimenti. Le loro storie, affidate ad una serie di
appassionanti flash-back, si sovrappongono e si intrecciano in un movimento
narrativo a spirale che svelando la realtà per pennellate progressive riesce a
tenere sempre alta la nostra attenzione.
Parla Tullio e sequenza dopo sequenza vediamo svolgersi la sua vita di emigrante
fatta di lavori massacranti ma anche di speranze e progetti che lo aiutano ad
affrontarla sempre con grande dignità e coraggio.
Tullio è vitale, positivo, risoluto e sa raccontare molto
bene. Rimangono impressi i passaggi in cui ricostruisce l´episodio della sua
ribellione alle bestiali condizioni di lavoro in miniera ed è assolutamente
memorabile la pagina in cui dopo aver descritto significativi esempi di
collaborazione tra operai di diversa nazionalità non manca di stigmatizzare
così la loro abitudine a farsi concorrenza per guadagnare di più con il
lavoro: "Questa era l´unica invidia tra di noi. Un´invidia ciotìsca, lo
ammetto, un misto di fessaggine ciuccigna e fame arretrata, fame di soldi che a
casa tua avevi solo visto col binocolo".
Parla Marco e riviviamo il suo smarrimento, la sua rabbia durante i periodi di
lunga assenza del padre ma anche la magia di un´infanzia vissuta intensamente
tra mille giochi e avventure dentro una natura ancora selvaggia ed esuberante.
Marco è vivace, impavido e sa quello che vuole fin da piccolo: il ritorno
definitivo del padre.
Sul robusto tronco di queste due narrazioni principali si innesta poi la vicenda
della figlia maggiore di Tullio, Elisa, che presa nel vortice dell´amore per un
uomo misterioso, prima tenero, poi aggressivo fino alla violenza, mette a
repentaglio i solidi legami affettivi di tutta la famiglia.La conclusione,
davvero singolare e inattesa, di questo episodio e insieme dell´intero
racconto, è il degno suggello di un romanzo bello e avvincente dall´inizio
alla fine. A tale risultato l´autore è potuto arrivare sia costruendo un
intreccio accattivante e dinamico sia, e specialmente io credo, inventando un
linguaggio inaudito. Si apre il libro a una qualsiasi pagina e si trovano
paragoni saporosi, impasti lessicali inediti, costrutti sintattici capaci come
pochi di catturare il fresco sapore dell´oralità. Le intersezioni tra italiano
dialetto calabrese e lingua arbëreshe non sono mai esornative né cervellotiche
ma solo perfettamente funzionali al contesto. Il tutto contribuisce a creare
musicalità, ritmo narrativo, densità descrittiva, luminosità espressiva. La
festa del ritorno è anche una festa della scrittura.
La prima presentazione ufficiale in Trentino del nuovo
romanzo di Carmine Abate ("La festa del ritorno") si terrà oggi alle
ore 17,30 alla Biblioteca Ciovica "Tartarotti" di Rovereto. L´assesorato
alla cultura del Comune di Rovereto e la Biblioteca, festeggiano infatti in due
date la "Giornata mondiale del libro" promossa dall´Unesco.