Rivista Inchiostro
Luglio/Agosto 2004
La festa del ritorno
di Francesco Roat
Carmine Abate torna sugli scaffali con un romanzo che ricorda molto “Il
ballo tondo”, libro d’esordio ritenuto il suo capolavoro. Proprio come
quello, anche “La festa del ritorno” è ambientato in una comunità arbëreshe,
cioè di lontana origine albanese, della Calabria. È un romanzo di formazione che ha per protagonista e io narrante il
figlio di un ex-contadino costretto, per sfuggire a una «vita caprina», a
emigrare in Francia: Paese in tutto e per tutto “altro” rispetto alla
nativa, mediterranea Hora e alla «caloria» della sua gente. Alla voce innocente e colma di meraviglia del fanciullo – che sembra
vivere solo in attesa del rientro paterno, puntuale ad ogni fine anno – si
affianca quella più disillusa del genitore, che gli narra l’esistenza grama
dell’emigrante. Così, all’incanto si alterna la disillusione; allo stupore
entusiasta, la prudenza di un uomo che ha sperimentato amore e dolore. E
quando questo padre, troppo assente suo malgrado, è costretto a prendere
atto di come un’altra sua figliola non sia più bambina, ma ormai donna e
invischiata in una relazione adulterina, l’idilliaca atmosfera familiare
rischia di offuscarsi per sempre. Per il piccolo protagonista giunge allora
il momento di farsi uomo anzitempo e di misurarsi con situazioni e
sentimenti per lui inediti e inauditi: la passione, il sesso, la vendetta.
Abate riesce a narrare con consolidata maestria affabulatoria le emozioni
di una vicenda che risulta intensa e suggestiva. Lo fa con una prosa
scoppiettante, vivace nel ritmo e personale nel registro narrativo, e grazie
alla tavolozza espressiva favorita da un lessico estremamente originale,
arricchito di innesti dialettali e intarsi arbëreshe, che impreziosiscono
con espressioni dal sapore arcaico una storia dolce-amara sulla fatica di
crescere.
Francesco Roat
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