Il Quotidiano 14 agosto 2004 Gli autentici valori della famiglia di Giovanvincenzo Santagada Una storia intensa, avvolgente, semplice ma complessa, quella che Carmine Abate, scrittore di fama internazionale, propone nella sua ultima opera “La festa del ritorno”, edita dalla Mondatori. Un’opera in cui attesa, malinconia, gioia, felicità si alternano, animano le vicende, i fatti e gli eventi. Sentimenti forti scandiscono inesorabilmente l’evolversi delle vicende e scuotono gli animi dei personaggi. Personaggi in continua tensione, che si muovono, fuggono, ma che poi ritornano e si uniscono, sotto il crepitio del fuoco, nel segno dei più profondi, autentici valori della famiglia. E’ questa la vicenda di “un figlio”, nato in terra di Calabria, che ricorda tutto il suo angosciante spaesamento e la rabbia nei periodi di assenza del padre; ma è ancora la vicenda di “un padre”, emigrato in terra francese, che narra la sua vita. La festa del ritorno è, dunque, l’esaltazione dei valori familiari. Si assiste quasi ad una santificazione della figura paterna che diviene guida e faro luminoso nei percorsi bui e pericolosi dell’esistenza umana adolescenziale. L’assenza paterna é motivo di dolore: un dolore lancinante e <<cronico sotto la pelle, una spina invisibile che ogni tanto mi punzecchia il cervello>>. Il giovane Marco, personaggio principale, parla, racconta, rievoca, riflette e cresce nel dolore. Un dolore che è motivo di logoramento interiore ma anche di crescita psicologica. Il realismo della descrizione dei luoghi permea tutta la vicenda: un realismo coinvolgente. E’ come se il lettore si trovasse nei boschi, nella rigogliosa campagna o per le strade del borgo natio, come se respirasse l’aria pura, i profumi della natura. I luoghi che fanno da sfondo alle vicende narrate hanno un sapore d’antico e sono cosparsi da un alone di magia. Descrizioni attente, particolareggiate. La festa del ritorno proietta, insomma, la genuinità del mondo calabro-arberesh verso scenari nuovi, luminosi in cui i valori della tradizione umana fanno da padroni. Un continuo intrecciarsi, concatenarsi fra gli elementi di denuncia sociale come l’emigrazione, il duro lavoro, l’abbandono del luogo d’origine e i legami familiari, gli amori nascosti. Il tutto espresso tramite un impasto linguistico semplice, accessibile ed anche dinamico, coinvolgente. Un triplice linguaggio che parte dalla semplicità, dell’italiano, abbraccia i ritmi arcaici della lingua arbereshe e si scontra, infine, con i suoni duri del dialetto calabrese. Voci che si confondono in terra di Calabria creando un’atmosfera dai toni variopinti. |