LA RIVISTA DI BOMBACARTA ottobre 2004

Basta volerlo fortemente
 di Livia Frigiotti

  Leggendo questo piccolo e intenso libro mi è venuta in mente la festa che fanno i miei cani quando vedono arrivare la mia macchina al cancello di casa, festa che aumenta quando scendo dalla macchina e le chiamo. Quando sentono la mia voce non si tengono più fra salti e abbai. In fondo il ritorno dei padroni, che loro aspettano pazientemente ogni volta che si va via, è una festa vera e propria.
Ed è in tutto e per tutto l'attesa del ritorno "il motivo andante" di questo libro. Non per niente anche qui c'è un cane che festeggia il ritorno del proprio padrone.
Carmine Abate nasce nel 1954 in una comunità Arbereshe, ovvero Italo-Albanese, in Calabria.
E' un romanzo autobiografico; la partenza di suo padre emigrato verso la Francia per cercare più fortuna e poter così mantenere la famiglia.
Descrive l'ansia dell'attesa del ritorno a casa di suo padre, contrapposta alla sottile angoscia per la successiva ripartenza. I pensieri di un bambino in attesa o la sua gioia per quel ritorno, affiancati dai racconti e dai ricordi di suo padre in una sorta di profonda confessione al proprio figlio.
Ringrazio Stas per averci consigliato questa lettura nell'ultima officina di BC prima della chiusura estiva; ho scelto questa lettura grazie alla passionalità che Stas ha dimostrato nei riguardi dell'autore e del libro, una passionalità nelle sue parole che ci spiegavano e illustravano la vita di Abate.
E' difficile per me,anche dopo averlo letto, trasmettervi quello stesso fervore.
Posso dire con poche parole che Stas aveva ragione, che si tratta di un libro molto bello, pieno, rotondo, semplice da leggere ma che sa anche far riflettere sui motivi che spingono ad emigrare.. E' anche la denuncia di un pesante malessere nel nostro sud così sbilanciato rispetto al nord, dove non è possibile lavorare sostenendo una famiglia; pesa il fatto che non si possa rimanere nella propria terra natia creandosi il futuro che si vorrebbe.
Questo rapporto padre-figlio, il concetto dell'attesa e dell'assenza con la festa del ritorno dello stesso padre, nella lettura e nel mio immaginario l'ho assimilato al libro di Ammanniti "Io non ho paura". Certo la differenza è sostanziale ed evidente, come anche la similitudine.
Si tratta di paesi del sud, dove appunto tirare avanti una famiglia è difficoltoso e qui, nella scelta del modo migliore di trovare la soluzione, si racchiude la differenza.
Nel libro di Ammanniti il padre sceglie una soluzione negativa e criminale; il padre di Abate sceglie una via positiva di profondi sacrifici con una lontananza tale da implicare il dolore per non veder crescere i proprio figli giorno per giorno.
Li ho accomunati nell'attesa dei due piccoli giovani protagonisti del ritorno del proprio padre che risulta comunque una festa ogni volta che avviene. Poi è ovvio che tra vita vera e fantasia ci siano differenze più che sostanziali, visto anche che gli autori non sono la stessa persona. Ma non c'è da cercare una similitudine più di tanto. Il libro di Abate è un libro che può trasmettere il messaggio positivo della possibilità di un bel rapporto tra un genitore e il proprio figlio nonostante la distanza che troppe volte implica la mancanza di amore e rispetto e il non conoscersi. Ma Abate dimostra che, in fondo, basta volerlo fortemente..