El Ghibli -
17/11/2015
La felicità dell’attesa
di Raffaele Taddeo
Nei romanzi di
Carmine Abate alcuni elementi si ripresentano anche quando l’autore
cerca di svincolarsi perché possono apparire rincorrenti. E’ così
per la mitopoises, cioè la creazione di miti o la riproposizione di
miti in altra versione; è così pure del tema del ritorno che in
questo romanzo è molto presente ed assume facce e caratteristiche
diverse; ma lo è anche per il sistema linguistico che in
quest’ultimo testo propone la presenza di termini, espressioni dell’arberesh
o del dialetto calabrese molto più conglobati che non nei precedenti
romanzi.
Tutti i personaggi, ad eccezione di Monica moglie di Carmine
protagonista, voce narrante, che possiamo chiamare junior, e di
Norma Jean, appartengono ad una stessa comunità linguistica; anche
la moglie di Carmine Leto senior (il nonno), americana di nascita è
totalmente inserita nella comunità di Hora e ne ha assunto in gran
parte valori i valori. Il percorso di riappropriazione della storia
di vita del padre del protagonista rischiava di banalizzarsi in una
ricerca maniacale dei presunti responsabili dalla sua morte se non
si fosse assunta una qualche forma mitica che ne esaltasse la sua
esistenza che di per se rischiava di non avere nulla di
significativo da meritare una scrittura narrativa. L’espediente
trovato da Carmine Abate è da una parte singolare, dall’altra audace
perché poteva far perdere credibilità al personaggio Jon Leto e far
scivolare l’intera narrazione verso un fantasioso poco accattivante
se non addirittura ridicolo. Il narratore infatti, per molta parte
del romanzo si sofferma su una storia d’amore fra Jon Leto e Norma
Jean, conosciuta come Marilyn Monroe. Il mito della diva del cinema,
la sua vita misteriosa perchè legata ai più illustri personaggi
politici americani dei primi anni ’60, ma anche tragica solleva la
storia di Jon da una banalità ad una sorta di vicenda mitica sub
specie aeternitatis che val la pena di riscoprire e raccontare.
Un secondo mito viene proposto ed è quello di Andy Varipapa il
giocatore di bowling che divenne famoso negli Stati Uniti verso gli
anni 50-60, ritenuto forse il più grande giocatore di quella
specialità sportiva. Due miti si rincorrono e diventano il substrato
di un tessuto narrativo avvincente e intrigante. Per Carmine Abate
il presente può essere sostenuto solo se corroborato da un passato
miticizzato e quindi sotto molti aspetti esemplare.
Il tema del ritorno è presente quasi in ogni pagina di questo
romanzo. Il solo Varipapa non si sposta dagli Stati Uniti e non
ritorna mai in Italia e/o al suo paese di nascita. Non aveva più
familiari e quindi il ritorno sarebbe stato non solo inutile ma
anche mortificante sul piano della memoria. Non aveva da riscattarsi
per nessuno e neppure per una comunità che l’aveva visto andar via
quand’era ancora ragazzo e non aveva lasciato alcuna sua impronta al
paese d’origine. Tutti gli altri personaggi non riescono a non
rimettere piede nel paese natio dopo l’avventura della migrazione.
E’ così per Carmine Leto, che convinto della bontà della vita nel
suo paese riesce a portarvi anche la sua sposa americana. Ma è così
anche per Jon Leto e la moglie che dopo aver lavorato per anni
nell’America decidono di passare la loro vecchiaia nel paese
d’origine. Il ritorno sembra interrompersi e diventare quasi
impossibile per i protagonisti più giovani, come Carmine junior, il
narratore e sua sorella Lina. Entrambi e specialmente quest’ultima
non vedono la possibilità di poter rimanere o ritornare ad Hora. E
tutta via Lucy, la figlia naturale di Lina riassume il territorio
dove è nata la madre come sua seconda patria così che radicherà la
sua permanenza organizzandovi un’attività lavorativa che diventa
quindi la sua residenza stabile. Il territorio di nascita fa da
richiamo non solo a coloro che vi sono nati ma anche ai loro
discendenti, è un ritorno di lunga durata perché legare l’io al
territorio di nascita comporta una assunzione identitaria molto
forte, che può essere addizione di moltissime esperienze ma ritrova
il suo ancoraggio nel paese d’origine. In Carmine Abate identità e
territorio formano una unità inscindibile che può essere arricchita
per addizione ad altre esperienze capaci di accrescere la corposità
identitaria, ma non può mutarsi, alterarsi perché allora non sarebbe
un’addizione ma una sostituzione.
Sul sistema linguistico si è già detto, forse può essere utile
aggiungere che la conglobazione dei vari idioletti al sistema
linguistico base che è l’italiano risulta molto più fluido da una
parte e più naturale e spontaneo dall’altra. In questo campo
l’autore calabrese ha raggiunto una maestria quasi gaddiana. |