TUTTOLIBRI - LA STAMPA   26/10/2015

I migranti eroi del nulla sulla carovana di Abate
di Sergio Pent

La stirpe dei Leto, il Novecento di una famiglia: una storia tenera e violenta, solare e malinconica

È sempre tempo di nostalgia, anche se la nostalgia non è più quella di un tempo. Fedele a se stesso, alle tradizioni, all’antropologia dell’anima di una gente e di un territorio, Carmine Abate snobba mode, correnti e furbizie da classifica, per costruire quello che ben s’inquadra nel titolo di uno dei suoi romanzi maggiori, «il mosaico del tempo grande».

Si poteva pensare che la reiterazione del mondo «arberesh» di Hora, nella limpida Calabria dei migranti, avrebbe prima o poi portato a qualche inevitabile stagnazione ispiratoria, invece ecco qui La felicità dell’attesa, il romanzo della nostalgia perfetta, il memoriale di una famiglia di eroi del nulla che riesce a diventare, nella sua generosa scioltezza – a parer mio – l’opera più bella e riuscita di Abate.

E’ solare, malinconica, tenera e violenta la storia della stirpe dei Leto che Abate ci ammannisce con una leggerezza nuova e giovane, meno riflessiva: l’epopea dei migranti diventa viaggio nel mito del distacco, le case di Hora sono quelle di una Itaca continuamente riabbracciata nei ritorni e persa nelle partenze, la lontana «Merica» è terra di sogni e conquiste, ma anche di inevitabili languori dell’anima, malinconie profonde che tracciano il solco di intere generazioni.

L’ennesimo romanzo sull’emigrazione? E’ anche vero, se non fosse che Abate attraversa i disagi e le disavventure della famiglia Leto con un disincanto affabulatorio che rende tutto luminoso, intriso di feroci dolori ma soprattutto di amori che danno vita, speranza. La speranza di Carmine Leto, il primo a partire nel 1903, il nonno dell’io narrante che porta il suo nome, colui che nella Merica trovò piccole fortune e una splendida moglie mulatta, Shirley, con la quale tornerà a Hora per morire tragicamente, lasciando vedova la sua «Scilla» e orfani i piccoli Jon, Leonardo e Franceschina.

Potrebbe anche essere il romanzo di una vendetta cercata per tutta la vita, in quanto Jon – man mano il vero protagonista dominante – si pone come obiettivo la caccia ai colpevoli della morte paterna, i «micidianti» fratelli Malvasia. Ma il grande sogno americano cattura Jon e le sue giovani ambizioni – di vendetta e riscatto – e in compagnia di un vecchio amico del padre, Andy Varipapa, divenuto un mito nel mondo del bowling, il giovane calabrese arberesh viaggia, conosce gli States, arriva a Los Angeles dove finisce negli occhi e tra le braccia di una giovane, stupenda aspirante attrice, di nome Norma Jeane.

Ecco, quella che poteva essere la forzatura del romanzo, inserire cioè un personaggio eterno come Marilyn Monroe in una narrazione privata, diventa invece la credibile, commossa storia di un amore impossibile ma vissuto per tutta la vita e oltre, anche quando la fama – e la tragica fine – di Marilyn raggiungeranno le quattro casupole di Hora, dove Jon è tornato dopo la morte nella miniera di zolfo del fratello Leonardo.

La trascinante vicenda familiare diventa epica di tutte le vite possibili, ed è ammirevole la bravura di Abate nel ricreare un mondo e un’epoca alla luce di memorie discrete, con un linguaggio misto di dialetto, parlata arberesh, vezzosità italo-americane, fondendo fantasia e realtà in un groviglio di umanità sporche di fatica, lavoro, sogni e speranze. La magia con cui l’eterna ricerca della «sua» Norma scandisce l’intera esistenza di Jon Leto, è una vera sorpresa, tanto da farci credere che forse – volendo – tutto possa essere accaduto proprio così.

Spetta al più giovane Carmine Leto, architetto di fama, recuperare la memoria e tirare i fili del tempo, quando accorre al capezzale del padre morente, ma intanto la storia è accaduta e ha mietuto sogni e vittime, lasciando intatta la determinazione di una famiglia che vivrà a lungo nelle emozioni del lettore. Una splendida storia italiana.