ClubDante, 12 maggio 2012
Uomini e luoghi
di Diego Zandel
I luoghi hanno una loro identità precisa, ma si
animano, vivono, solo nelle persone che se ne sono nutriti, e in cui hanno
la propria storia o là la costruiscono. Per Carmine Abate questi luoghi sono
un pezzo di Calabria, quella che si affaccia sullo Jonio, colma di tesori
antichi, di memorie, di genti venute d’oltre mare, i greci, gli albanesi.
Carmine Abate è nato in quella Calabria, ci è cresciuto, poi però se n’è
andato, ma quella terra se la porta dietro, dentro, con tutte le sue storie,
la sua lingua, la sua gente, a cominciare dal nucleo originario della
famiglia, che con la terra stessa si fonde. Tutti i suoi romanzi partono da
qui, parlano di questo.
Così anche l’ultimo La collina del vento, seppur questa volta con il
baricentro appena spostato rispetto ai libri d’esordio, in cui Carmine Abate
rappresentava lo straordinario mondo arbëresh, ovvero della minoranza
albanese, che vive da secoli in Calabria. Ma siamo lì, tra quelle colline,
la Sila alle spalle, Crotone sul mare, punta Alice. Siamo nella Calabria
antica. Tanto da offrire, più che in altri romanzi di Abate, materia sulla
quale e intorno alla quale imbastire una sorta di saga famigliare che
comincia sul finire dell’Ottocento e si conclude ai nostri giorni. In mezzo,
pezzi di storia nazionale: barlumi, evocazioni, echi, ma densi, in grado di
incidere sulle vite di tutti noi e, nello specifico, su quelle dei
personaggi creati da Abate. Con un solo palcoscenico: la collina del Rosarco
che guarda lo Jonio, punta Alice, Cirò, il suo vento, i suoi odori, la
durezza del suo suolo, dal quale tirare fuori quel tanto da campare.
Su quella collina ha i suoi campi la famiglia Arcuri, Alberto, il
capostipite, sua moglie Sofia, e i tre figli piccoli. L’incipit è quello di
un giallo: la visione da parte della madre e dei bambini di due giovani
ammazzati, uno con gli occhi ancora aperti, uno sguardo vuoto che resterà
nella memoria di Arturo, uno dei figli. Chi sono quei giovani e perché sono
stati uccisi? Il mistero resterà tale per sempre, vivrà solo nel cuore di
Sofia, che non parla per non essere uccisa a sua volta. Un segreto che si
porterà dietro per sempre. E, intanto, quella collina sembra nascondere
altri segreti. Uno di questi, quello sul quale poi il romanzo si
dispiegherà, è quello archeologico.
Carmine Abate fa rivivere la figura del grande archeologo italiano Paolo
Orsi, che arriva su quella collina subito dopo la prima guerra mondiale,
certo di trovare lì, sotto quelle pietre battute dal vento, l’antica città
greca di Krimisa. Alberto, all’inizio sospettoso, alla fine apprezza lo
studioso, la sua gentilezza e generosità. Per il resto, ha ben poco: nel
corso della prima guerra ha perso due dei tre figli. È rimasto solo Arturo,
che raccoglierà il testimone della famiglia e su quella collina impegnerà il
sudore e il sangue.
Siamo già al fascismo. I latifondisti, sostenuti dal regime, sono diventati
ancora più arroganti. Uno di essi, don Lico, proprietario di una parte della
collina vuole anche i pezzi di terra di Arturo. Dalle ricerche
archeologiche, da quel che si sente, da quel che si trova, per ora poche
cose, sembra nascondere tesori immensi. Arturo si oppone a don Lico, alle
sue minacce, ai suoi sgherri. E il regime fascista obbedisce: prende Arturo
e lo manda al confino a Ventotene. Tutto resta sulle spalle della moglie
Lina e del figlio Michelangelo, il quale intanto stringe i rapporti con il
buon archeologo, da questi spinto, per emulazione, a studiare, mentre, nello
stesso tempo, Arturo al confino e il figlio a casa cominciano a prendere
coscienza politica, che avrà i suoi risvolti durante la seconda guerra
mondiale e la lotta contro i nazifascisti.
È questo rapporto simbiotico tra la collina e gli Arcuri che impregnerà di
sé le pagine del romanzo. Le quali si arricchiscono della seducente
scrittura dell’autore, in cui l’impasto tra poesia delle descrizioni e uso
mirato del dialetto locale, non solo nei dialoghi, contribuiscono a
restituire nella sua verità più profonda il mondo raccontato, fino al punto
da diventare essa stessa, la collina del vento, personaggio vitale. |