L’Adige
Martedì 23 gennaio 2001 - p. 13
Cultura


«Il ballo tondo», grandioso romanzo corale

L´autore è come un novello pifferaio di Hamelin, nato per raccontare storie Abate tra viscere e passione
Premio Arge Alp

Franca Eller


Hora è un luogo-non luogo, un paesaggio dell´anima che vive un suo tempo sospeso come l´indimenticabile Macondo di Màrquez o il villaggio chagalliano degli «innamorati di Minsk»; è una dolce metafora, forse un´utopia. Ma è al tempo stesso un luogo assolutamente concreto: povere case di sasso che ospitano una vecchia comunità albanese, strade perse fra i monti di Calabria, mille volte percorse da chi parte e ritorna; luogo dove gli uomini emigrano e le donne restano. E´ il paese di Costantino, giovane protagonista di un´affascinante, vorticosa saga familiare che ha titolo «Il ballo tondo»: opera prima di Carmine Abate, ultimo discendente d´una famiglia di immigrati/emigranti albanesi, alter ego di Costantino. Il quale ha un padre, Francesco Avati detto il Mericano, uomo appassionato e deciso che ad ogni ritorno dalla Germania scarica dalla vecchia Mercedes regali e sogni, rabbie e desideri, e un giorno anche un marito trentino per la figlia maggiore; ha una madre paziente; due sorelle irrequiete, Orlandina e Lucrezia, che vivono travagliate storie d´amore; una giovane amica più ricca ed emancipata di lui, che lo fa palpitare. Ma soprattutto ha un nonno, nani Lissandro, riferimento e tramite per il nipote fra il mondo arcaico della tradizione e del mito cui appartiene la loro gente e la modernità che rischia di stravolgere il loro microcosmo. Figura di straordinaria suggestione, nani Lissandro non può non ricordarci il Padron ´Ntoni verghiano, con una distinzione, a parer nostro: che mentre i personaggi di Verga nascono dalle idee archetipali della letteratura, ogni personaggio di questo grandioso romanzo corale è fatto della stessa sostanza del sangue, è viscere e passione, l´essenza stessa di ogni diretta esperienza di Carmine Abate. Forse di qui nasce la profonda suggestione della scrittura di questo novello pifferaio di Hamelin, nato per raccontare storie. Storie che scaturiscono più dall´ascolto che dall´osservazione e quindi si caricano di una loro intima, trascinante musicalità; si fanno scrittura che d´improvviso scivola in antica rapsodia arbereshe, in nenia di bambino, in «vallija» di giovani sposi; scrittura che risponde a tempi diversi da quelli del romanzo, a tempi di storia infinita (pensiamo al misterioso rapsodo di Corone). Usando lo sguardo curioso e scanzonato di Costantino, Abate ha saputo superare, con inusuale brio e levità, la linea di demarcazione fra due mondi attigui ma in realtà lontanissimi: la cruda concretezza del mondo dell´emigrazione e il mondo magico dei racconti orali di quella sua terra amata e mai vista, di cui non è dato distinguere il confine tra vero e falso. E proprio su questo continuo equilibrio precario tra fantasia e realtà, tra antico e moderno, tra grande Storia e marginale quotidianità, tra racconto personale in cui irrompe la dimensione del mito e favola che affronta il tema pregnante dell´incontro/scontro fra culture diverse, ha costruito uno stupendo affresco pullulante di figure vivide e conturbanti, l´epopea di una minoranza, metafora universale di ogni popolo che combatte per trovare e per non perdere: un suo nuovo posto nel mondo di oggi e le sue vecchie radici. La scena finale, con la sua profonda eticità, chiarisce il valore simbolico del titolo: il vecchio nani Lissandro, in un eccesso di gioco e di risa assieme al pronipote Paolino, sulla riva di un mare purificatore che 5 secoli prima ha portato in salvo e contemporaneamente in esilio il suo popolo, muore proprio mentre poco più in là si sta celebrando il rito del «ballo tondo», auspicio di nuova vita, per festeggiare le nozze di Lucrezia con il maestro del paese: morte e rinascita, dunque, in questo romanzo "aperto", in linea con i grandi romanzi del ´900.