Alto Adige
20 febbraio 2002
ABATE
nel FONDACO DEL FICO
Nella
Calabria di ieri e di oggi, una convincente prova narrativa
di Carlo
Martinelli
Nel sole, nel vento, nel sorriso, nel
pianto. Si può iniziare a scrivere di un libro citando il titolo di una
canzone? Se sì, allora Carmine Abate abita i nostri pensieri così come
Lucio Battisti ha frequentato i nostri timidi balbettii musicali. Eccolo il
nuovo libro di Abate, questo scrittore dalla carta d'identità allungata.
Italiano di Calabria, albanese di Carfizzi, emigrato di Germania, insegnante
in Trentino, scrittore ormai maturo, compiuto. Verrebbe da dire : fatto e
finito, se non sapessimo fin troppo bene che non vi è approdo definitivo per
chi modella le parole, che non vi è porto sicuro cui ormeggiare la barca
della fantasia e della creatività. Scrivere può anche essere una condanna,
una sofferenza, una non facile espiazione di una urgenza nel dire e nel
raccontare che, talvolta, è dolorosa urgenza. Però il risultato va letto
anche e soprattutto dalla parte del lettore. E allora le duecento pagine meno
tre di questo "Tra due mari", approdo chez Mondadori, ovvero ad una
grande casa editrice dopo le fortunate tappe da Fazi, sono qui, stanno
arrivando in queste ore nelle librerie, attendono la pioggia di recensioni ed
urrà che finora hanno quasi unanimente accompagnato le precedenti fatiche
letterarie del nostro.
Che romanzo è mai, questo? E' una storia che sta nel sole e nel vento, nel
sorriso e nel pianto. E' l'avventura di una vita che è fatta di più vite,
che affonda nelle radici del tempo, che si nutre delle vicende di
generazioni. E' una storia del Sud, ancora una volta. A confermare la cifra
stilistica di Abate, probabilmente anche la ragione del suo crescente
successo nei Paesi nordici - in Germania lo coccolano a più non posso, sta
per essere tradotto in Olanda - che risiede indubbiamente in questa sua
magnetica capacità di comunicare il sole, il sudore, la natura, le piante,
il mare. I mari: quelli del titolo. Lo Jonio da una parte, il Tirreno
dall'altra. In mezzo la terra di Calabria, in mezzo il Fondaco del Fico (ché
questo poteva, e forse doveva essere, il titolo di questo libro assolutamente
convincente, grandemente coinvolgente).
Tra due mari, dunque. Soprattutto: tra due mondi. Inevitabilmente legato alla
sua esperienza personale, a questo suo farsi uomo e insegnante, scrittore e
cittadino del mondo tra la Germania e la Calabria - con il Trentino quasi
simbolicamente oltre che geograficamente terra di mezzo -, il romanzo di
Abate aggiunge, alle prove precedenti, un plot narrativo, una tessitura della
trama ancora più corposa, ancora più solida. Quasi un giallo, raccontava in
quel di Coira, dalle parti della Svizzera, dalle parti dove Segantini e
Nietzsche hanno lasciato tracce non eludibili del loro passaggio: colà Abate
c'era per ritirare il premio Arge Alp. Lo prendeva per "Il ballo
tondo", una delle tappe di questo suo cammino dentro quel mercato
editoriale che è spesso infido. E che dà inevitabili batticuore. Oggi il
battito di Abate è di quelli che inclinano al sorriso: in Francia Nouvel
Observateur prima e Liberation poi gli hanno sciorinato alti complimenti. Al
Salon du livre parigino hanno messo in piedi un concorso per scegliere il
miglior autore italiano. 34 in lizza, da Eco a Tabucchi passando per Baricco.
In cima - ovviamente per motivi di ordine alfabetico, dove non teme rivali,
c'è lui, c'è Abate. Ma se l'ordine alfabetico lo fa sempre primo, l'ordine
delle cose, il piacere della lettura, il gusto di una trama robusta, il
disegno di personaggi che pagina dopo pagina acquistano una sorta di
consistenza fisica, talché di alcuni di essi il lettore va a scoprire con
una certa voluttà il dipanarsi degli accadimenti, fanno di Abate un autore
comunque di primo piano.
Certo, essere approdati chez Mondadori, diventa conquista e responsabilità
allo stesso tempo. Ma questa storia sudaticcia ed orgogliosa, sanguinosa e
ammaliante, ha le carte in regola per fare bene. A partire da una scrittura
che cresce e cresce ancora, avvolgente. Pescando ad un vocabolario
assolutamente personale, assolutamente originale. E' lo sguardo sgherroso di
Giorgio Bellusci, personaggio che non si farà dimenticare. Sono i fichi
nivurelli, le susine verdelle, è la sputazzata nell'occhio, è il paese che
puzzava d'estate, sono gli occhi spirdati, è l'uomo sgambigno, è di nuovo
il Fondaco del Fico - ah, vorrete tutti recarvicisi, lettori attenti, a
questa costruzione che le vicende della storia hanno consegnato agli incendi
e ai briganti, ai soldati del Regio esercito e ai mafiosi, a Dumas (sì,
Dumas, il grande grandissimo immenso romanziere è passato da quelle parti
nel libro di Abate: ed è un passaggio altrettanto indimenticabile) e ad un
fico che tenace aggredisce la roccia - che agli occhi del bambino Florian, il
protagonista del libro, pareva l'enorme incisivo cariato di un dinosauro. E'
l'urlo pulcherrimo che una donna rivolge a Florian,impegnato in una lite di
ragazzi a pestare suo figlio: "Micidiante, molla mio figlio, che lo stai
ammazzando, sei un assassino come tuo nonno, lascia mia figlio!".
E' il paese colpito da un terremoto, scotolato da cima a fondo. E'
l'irrompere sulla scena della storia - che è fatta di molte storie - di
personaggi capaci di rompere una facile e scontata agiografia
meridionalistica. Così come Abate fa quando la mafia irrompe nella vicenda:
trovando pane per i suoi denti, e che pane. E' gente orgogliosa e sanguigna,
testarda e ribelle, quella che percorre le pagine di questo romanzo. Spiazza
tutti il viaggiatore ed erudito tedesco Friederich Leopold von Stolberg che
capita al Fondacod el Fico il 22maggio 1792,a mezzogiorno, come Dumas. Non si
potrà far finta di non conoscere Giorgio Bellusci detto Focubellu perché si
infiammava per ogni cioterìa. E se Florian perde la testa per Martina,
sensuale ragazza di Calabria, che fareste voi quando lei vi rivolgesse, come
succede nel libro, un occhiolino d'intesa, una zingatella come la chiama lei?
Infine, nel confessare che chi scrive si è arreso senza colpo ferire alla
trama di Abate, trovando plausibile un finale che qualcuno avrebbe visto
volentieri sciogliersi in modo diverso (nulla si svela, qui, anche se
"Tra due mari" non è un giallo: ha momenti che affondano nella
cronaca, quella che il dolore televisivo ci ha fin tropo bene insegnato ad
anestetizzare e dribblare), resta una grande curiosità, che assurge forse a
un invito nei confronti dell'autore, forse a sfida. La scrittura di questo
romanzo - siatene certi: questo si porta a casa qualche premio di cui tenere
conto oltre che un consenso di critica notevole - ci proietta nel Sud, tra
storie e personaggi, colori e sudori, tutto quello di cui all'inizio. Rimane
la domanda, rimbalza la sfida: scrittore del Sud ma cittadino del mondo,
dolomitico fatto e finito, Carmine Abate se la sente di cimentarsi altrove?
Detto altrimenti: tra due mari non ha rivali. Ci ha convinto, emozionato. Lo
vogliamo tra due montagne. Lo aspettiamo impazienti.
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