Alto Adige
Martedì, 11 luglio 2000

Carmine Abate ritorna con Il ballo tondo . In un'intervista parla di emigrazione e scrittura, della sua vita in Calabria, Trentino e Germania, di impegno e affabulazione, di Fante e Zoderer.
Quello sguardo sul mondo fatto di afa e sole


Perché ha cominciato a scrivere?
Per denunciare la costrizione ad emigrare. Costringere qualcuno a lasciare la propria terra è la più grave delle ingiustizie. E quando ho cominciato a scrivere io parlavo di me. Parlavo di mio padre, scrivevo di mio nonno, tutti emigrati. Mio nonno - si chiamava Carmine come me - emigrò in America, mio padre Michele in Germania.
Quando ha seguito il padre, in Germania?
Avevo 16 anni quando lo raggiunsi ad Amburgo. Io sono nato in Calabria, avevo quattro anni quando mio padre emigrò ad Amburgo. E il mio il mio primo libro di racconti - Den Koffer und weg - del 1984 uscì proprio in Germania, scritto in tedesco, grazie all'aiuto di mia moglie, Maike, tedesca.
Cosa la spinse, allora, a scrivere?
A quei tempi ero convinto che la letteratura potesse incidere a livello sociale. Poi col tempo sono diventato più realista anche se dentro di me una vocina continua a dirmi che la letteratura serve ancora a livello sociale.
Eppure il piacere di narrare traspare quasi fisicamente dalle sue pagine.
Io credo che in me ci sia una contraddizione tra letteratura vista come impegno e la voglia di narrare. Non dimentico che quel piacere di narrare lo devo proprio agli scarpari e ai contadini del mio paese - Carfizzi, enclave di lingua arberesh nella Calabria - che sapevano narrare, io credo, come narratori cantastorie omerici.
E' l'affabulazione il motore della sua letteratura?
L'affabulazione è tutto. L' affabulazione orale è plastica, devi saper creare le immagini davanti a chi ascolta e chi legge. E' un tipo di racconto pieno di polpa, veloce come lo è la tivù e il cinema. Ma la differenza sta nelle immagini che devono essere essenziali, devono saper colpire chi ascolta e che legge.
Dai suoi libri traspare un calore continuo. Sole, sudore, afa sono quasi palpabili, là, nelle pagine...
Il calore è per me un modus vivendi, è come un abito mentale, non potrei rinunciare né al sole né all'afa né ai fichi né all'anguria. Fanno parte della mia geografia, della mia letteratura.
C'è forse un che di nostalgico in questa posizione?
No. Non c'è in me la nostalgia del sole o del paese, e anche il passato recuperato non è mai in chiave retorica, o elegiaca, o nostalgica.
E dunque?
Mi piacerebbe recuperare lo spirito dei contadini di una volta che affrontavano la vita e il mondo di petto. Lo facevano senza aspettare le elemosine dall'alto come succede oggi, nel sud come in tutta Italia, peraltro.
Lei è autore dai tempi lunghi. Perché?
In 15 anni ho pubblicato tre libri, i miei tempi sono quelli dello scavo, della limatura.
Come nascono i suoi libri?
La gestazione è lunghissima, io parto da una immagine che mi ossessiona per anni. Continuo a pensare alle storie, poi scrivo di getto e impiego anni per rivedere i miei testi. Lavoro molto sui dettagli.
Lei è stato definito scrittore dell'emigrazione. Si ritrova in questo giudizio?
Bè, sta succedendo che mi sto davvero interessando al tema, al di là dei miei libri. Mi sento quasi uno studioso della narrativa degli scrittori stranieri in Italia. Vengo visto come uno di questi, il Corriere mi ha persino citato accanto a Rushdie, Ben Jalloun e Saul Bellow in un articolo sull'argomento. Scrittori che hanno molto in comune con me e con gli scrittori italiani emigrati all'estero.
Cos'è la letteratura multiculturale?
Io la definisco come una letteratura che ha alla base il contatto e alle volte lo scontro tra le culture. E' probabilmente la letteratura del futuro.
I tempi stanno davvero cambiando rispetto a questo delicatissimo argomento della multiculturalità?
Mi sento un buon testimone del tempo. Oggi i miei libri hanno una maggiore fortuna rispetto a vent'anni fa anche se questi libri sono stati scritti proprio vent'anni. Sì, i tempi sono cambiati e c'è maggiore sensibilità verso queste tematiche nuove e ci sono sguardi nuovi verso una scrittura ibrida che è tipica della letteratura multiculturale.
Lo sguardo sul mondo è una costante del suo pensiero. Cos'è?
Posso solo dire che chi appartiene ad una minoranza, chi viene da fuori, ha in sè lo sguardo d'origine ma acquisisce anche uno sguardo diverso vivendo in un nuovo posto. Così succede che ci si ritrova nella valigia sia le storie che ci si porta appresso sia le nuove storie che si incontrano nella nuova realtà.
Se si dice"razzismo", lei che risponde?
Cito Saramago quando diceva "scrittori non disertate, scrivete contro il razzismo". In questa direzione lavoro da anni: "Il muro dei muri" è il titolo di un mio libro. Il muro dei muri è il razzismo.
Definisca la sua scrittura, la sua poetica.
Impegno e affabulazione, impegno e belle storie.
Cos'è una bella storia?
In una bella storia devono entrarci le tematiche sociali e non le masturbazioni mentali o i problemi psicologici che puoi avere come singolo ma che non interessano nessuno. Io non riesco a scrivere storie che non siano ancorate nella memoria collettiva. E' come se dovessi parlare anche per chi non ha voce. In questo senso mi sento vicino agli scrittori immigrati che danno voce a chi voce non ha.
Gli autori preferiti?
Io non credo nei libri di moda. Amo John Fante perché scriveva i suoi romanzi negli anni Trenta e la sua vita, guardacaso, inizia in una famiglia di abruzzesi emigrati in America e tutta la sua opera è un tentativo di riconciliazione con il padre, con la cultura del padre. Ci riesce in Full of life proprio perché vive lo scontro tra le culture e là arriva una scintilla che fa sì che Fante sia scrittore dell'oggi con uno sguardo purissimo sul mondo.
Altri scrittori amati?
Sergio Atzeni e Joseph Zoderer. Del primo segnalo una grande attenzione alla scrittura che lo fa scrittore radicato nella sua terra, la Sardegna. Mi resta il rammarico di non averlo conosciuto: è morto troppo presto. Per lui vale una mia vecchia regola: quando amo uno scrittore faccio più pubblicità a questo che non ai miei libri.
E l'altoatesino Zoderer?
"Die Walsche" è stata una lettura fondamentale: mi ha fatto vedere che si può parlare dei problemi di una minoranza etnica senza retorica, che si possono costruire grandi storie partendo da una realtà piccolissima.
IL LIBRO Quella di Costantino, figlio più piccolo di Francesco Avati detto il Mericano, è una famiglia davvero singolare: il padre, impetuoso e malinconico, è emigrato in Germania dalla nativa Hora, uno dei centri di origine albanese in Calabria; la madre, gran preparatrice di cibi piccantissimi, è rosa da un segreto rovello; le due sorelle dagli occhi brillanti e tempestosi, Orlandina e Lucrezia, vivono tormentate storie d'amore; il nonno Lissandro, ironico e saggio, è l'ultimo depositario di un'epoca e di un mondo che vanno scomparendo. E mentre Costantino cresce, attratto ugualmente dal passato mitico della sua gente e dalla modernità, irrompono nella sua vita il vecchio Luca Rodotà, misterioso rapsodo di Corone, il maestro Carmelo Bevilacqua, cacciatore di sentimenti e di ricordi, e infine, come un turbine, la sensuale e sfuggente Isabella. Attorno alle divertenti e drammatiche vicende di Costantino e della sua famiglia, Carmine Abate tesse un'epopea lirica, comica e visionaria, ambientata in un piccolo paese del sud trasfigurato a regione dell'anima, magica e leggendaria, dove il tempo sembra essersi fermato per sempre. «Il ballo tondo», acclamato esordio di uno dei più originali scrittori italiani, è romanzo dalle tante storie, tra cronaca e mito, tutte legate da un filo poetico.





Lo capisci quando lo sguardo si sofferma un poco di più su quella copertina gialla gialla. C’è tutto Carmine Abate in quel disegno, in

quei due soli/girasoli su sfondo giallo. C'è tutto questo piccolo grande narratore italiano che ha saputo allargare i confini della letteratura, portandosi appresso le sue origini albanesi, la sua emigrazione in Germania, il suo essere insegnante in Trentino, la sua memoria antica della terra di Calabria - Carfizzi, oh cara -, il suo sguardo sul mondo che non conosce confini e barriere, il suo saper narrare come pochi altri, in Italia, sanno oggi fare. Così, quale sorpresa: quella gialla copertina è quella de "Il ballo tondo", che Abate pubblicò per Marietti nel 1991 e che oggi - per fortuna - l'editore Fazi doverosamente restituisce alla lettura: 218 pagine a 22.000 lire. Era libro introvabile, questo e dopo il successo di pubblico e di critica - vivaddio, si dice sempre così ma in questo caso non è termine retorico, è andata proprio in questo modo - de" La moto di Scanderbeg" (che ha sfiorato la finale del Campiello per un irritante nonnulla) era forse scritto che di Carmine Abate potessimo leggere dell'altro. Questo"Il ballo tondo" è già stato tradotto in Germania, Albania e Kosovo e se dovessimo definirlo, non ci resterebbe che tornare alla copertina: in quei soli tondi c'è tutto Abate. C'è la sua circolarità di scrittura, c'è la sua solarità di racconto, c'è quel caldo e c'è quell'afa che è una sorta di marchio di fabbrica, di convincente imprinting. Si leggono le pagine di Abate e si “vedono" - letteralmente – i suoi personaggi. Si cammina con lui nelle strade polverose e con lui si entra nelle case, in quelle stanze bianche di calce e sempre, quasi per un miracolo, fresche. E si balla, con lui, per onorare il titolo e per partecipare ad una vita comunitaria che lo scrittore sembra quasi volerci restituire a futura memoria, come volesse metterci sull'attenti, sull'avviso. Badate, insinua – ma nulla è mellifluo in questo scrittore: tutto è chiaro e diretto, qui nulla sa di moda e di artefatto, qui la parola è scavo antico, è fatica che viene dalle notti e dai giorni di un tempo lontano -, badate che la memoria e il rispetto, il saper raccontare le storie e, soprattutto, il saperle ascoltare, è un dono troppo prezioso per pensare, incautamente, di poterne fare senza. “l ballo tondo" di Abate è l'elogio della memoria, dell'amore, delle visioni. Ce le teniamo strette queste parole piene perchè‚ questo è il tempo spesso dominato - e vinto – dalle parole vuote.
Carlo Martinelli