Avvenire
23
febbraio 2002
NARRATIVA ITALIANA Dopo «La moto di Scanderbeg», una vicenda tra Nord Europa e Calabria
Abate, il racconto di tre generazioni
di
Fulvio Panzeri
Dopo il successo di critica ottenuto con «La moto
di Scanderbeg», Carmine Abate ritorna con un nuovo affascinante romanzo, che
rimane, in linea, per temi e per paesaggi, con la ricerca che lo scrittore
italo-albanese ha portato avanti in questo decennio. Abate ripropone il tema
del viaggio e del confronto tra culture diverse, quella del Nord Europa e
quella del Sud italiano e in particolare della Calabria, una terra che,
rispetto ad altre zone del Sud, ha avuto pochissimi interpreti. Ora, a
continuare la solida tradizione tracciata da Corrado Alvaro e da Saverio
Strati, abbiamo appunto i romanzi di Carmine Abate.
Questa storia affonda anche in radici storiche e nella tradizione degli
antichi viaggiatori nei loro tour italiani. Infatti uno degli elementi di
raccordo del romanzo, diventando anche un insolito protagonista, è una
locanda, il Fondaco del Fico, visitata nel 1800 anche da illustri
viaggiatori, come Dumas.
È un'eredità di famiglia, che ora è solo un rudere, intorno al quale
ruotano i sogni di Giorgio Bellusci, uomo di un certo carattere, nonno
dell'io narrante del libro, un ragazzo che non ha ancora vent'anni che arriva
in Calabria da Amburgo, quasi controvoglia, per seguire i genitori in
vacanza. In particolare si dimostra forte il legame della madre, con il padre
appunto Giorgio Bellusci, legato da un altro filo di solidarietà con il
nipote, essendo il padre di questi, figlio di un suo amico, un fotografo
tedesco che inizia la sua fortuna proprio dalla Calabria, dove ha incontrato
appunto Giorgio.
È una storia di generazioni a confronto quella che racconta Carmine Abate,
in cui vengono messi a nudo rapporti contraddittori, egoismi, necessità di
una fedeltà alle proprie radici. Pur raccontando di tre generazioni diverse,
quella dei padri, quella dei figli e quella dei nipoti, il fulcro della
vicenda si attesta intorno alla figura dei «padri», che in qualche modo
hanno orientato il destino dei figli. Al nipote non resta altro che decifrare
solidità, ambiguità o segreti celati attraverso i rapporti. È singolare
così l'amicizia che si instaura tra i due padri, Giorgio, l'uomo del Sud,
legato alla tradizione della sua «Calabria», con il forte desiderio di
ricostruire il Fondaco del Fico e Hans, il tedesco, che gira per il mondo,
senza radici precise, tutto concentrato sul suo successo come fotografo, un
po' leggero nei rapporti, venati da un fondo di egoismo di cui fa le spese
anche il figlio. La figlia di Giorgio sposa il figlio di Hans e loro sembrano
subire i «fallimenti» dei genitori, assistendo impotenti alle loro
sconfitte morali ed esistenziali.
Entrambi i due amici, Giorgio e Hans, devono fare i conti con l'assenza.
Giorgio, pur di non cedere ai ricatti della malavita locale che gli chiede il
pizzo per il negozio di macelleria ben avviato che ha in paese, fa giustizia
da sé per i continui soprusi che deve subire; uccide un uomo e finisce in
carcere. Hans volontariamente si distacca dal figlio, ritornando solo per
fugaci ricomparse. Il nipote, Florian, osserva la complessità di questi
legami familiari, cercando di capirne i segreti, non accontentandosi della
superficie o delle false verità che gli vengono raccontate dai genitori. Se
dapprima ha un atteggiamento quasi ostile verso la terra della madre,
affrontando i viaggi da Amburgo alla Calabria con un sentimento di noia e
quasi di fastidio, poi lentamente, riesce a recuperare, insieme alla lucida
verità sulle persone, anche una complice solidarietà con il nonno e con il
mondo originario della sua famiglia.
Questo romanzo, complesso nella dinamica e nello sviluppo dei sentimenti, si
regge sulla scrittura di Carmine Abate, secca quanto basta, impastata con il
sole e con l'arsura di una terra in cerca di una nuova moralità che passa
attraverso il recupero di una tradizione.
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